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 2011  maggio 16 Lunedì calendario

«A 90 ANNI IO NON MI INDIGNO, LAVORO» —

«Indignarsi? No, no... indignarsi non serve proprio a niente. A niente! Bisogna, questo sì, appassionarsi. Continuare a lavorare. Anche a novant’anni. Per migliorare ciò che è sbagliato nel campo dei nostri interessi. Certo, mi arrabbio per la tv spazzatura. Ma lavoro ancora per cambiarla» . Detto da un novantenne, Ettore Bernabei che raggiunge proprio oggi questa età (è nato a Firenze il 16 maggio 1921), a un altro novantenne, cioè all’ex partigiano francese Stéphane Hessel, autore di «Indignatevi!» , libretto che ha venduto un milione di copie. A quota novanta, la condizione fisica di Bernabei è invidiabile. Si siede su una poltrona nella foga di un ragionamento, piegando la gamba destra, un gesto da giovani. E la testa (non solo per i ricordi ma anche per le prospettive del mercato televisivo internazionale) funziona di conseguenza. Bernabei festeggia nel segno della fede cattolica, sigillo centrale della sua vita professionale e privata, con una Lectio Magistralis alla Pontificia università Lateranense. Alle 17.30, nell’aula magna «Benedetto XVI» , parlerà su «La televisione può salvarci dalla Torre di Babele» . Ci saranno il cardinal Angelo Comastri, monsignor Enrico dal Covolo, rettore dell’università e vecchi amici, come il regista Ermanno Olmi. Giovedì altro festeggiamento, la sera su Raidue per «La storia siamo noi» con un faccia a faccia con Giovanni Minoli (che è anche suo genero, ha sposato la figlia Matilde). Da domani, martedì, al lavoro. Niente pause? «Perché fermarsi? E per fare cosa? Tutte le mattine arrivo in ufficio alla Lux Vide. Ora sono presidente onorario e non più effettivo, ma ho ancora il mio bel da fare. Per il compleanno qualcuno aveva immaginato un libro di saggi su di me. Ma non ho voluto. Quel genere di omaggi somiglia ai coccodrilli scritti quando sei ancora vivo...» . Nonostante la fede, insomma, questa Terra è ancora un bel posto: «Io mi rimetto alla Misericordia di Dio. E, come diceva Leone XIII a proposito della sua età, non metto certo limiti alla Provvidenza divina» . Sulle pareti, decenni di storia. Ritratti con dedica di tutti i Papi del secondo Novecento. Premi, riconoscimenti. Lì c’è Amintore Fanfani fotografato mentre dipinge con accanto Bernabei. Un duo leggendario: Fanfani alla guida della Dc, Bernabei al timone della Rai dal 1961 al 1974 nella sua stagione più pedagogica, per anni vituperata e oggi rimpianta da molti. Il Bernabei novantenne, però, non vuole parlare di passato ma di futuro. Cioè di tv: «Il vero male sono i reality e la non-cultura che esprimono. Sono una sorta di replica con due secoli di ritardo della Commedia dell’arte con la differenza che lì c’era la nobiltà del canovaccio e la libertà di creare battute. Oggi c’è un copione di ferro, situazioni imposte, la peggiore negazione della realtà, altro che reality. Una finzione di basso livello che reitera ossessivamente accidentalità puramente esistenzialiste premiando e indicando a modello per i giovani chi non ha qualità, non ha mai lavorato, è più banale, spesso più volgare!» . Ecco, qui Bernabei s’indigna, grida come se si ribellasse a un’offesa personale: «Eh sì! Perché la tv è sempre pedagogica, porge al pubblico un esempio da imitare nel bene come nel male, non bisogna essere esperti per capire che quanto accade in tv appare ripetibile, a portata di mano» . Un sospiro: «Ma lei li vede i contenitori pomeridiani, Rai e Mediaset? Cronaca nera, sangue, omicidi... Il 98%per cento degli italiani non ammazza, non ruba, non delinque. Eppure ci impongono solo quegli eccessi minoritari» . Vie d’uscita? «Una tv "normale", non moralista, che racconti la vita di tutti i giorni, le gioie e le difficoltà, situazioni reali, non necessariamente edificanti. Negli Stati Uniti lo hanno capito e ora gli sceneggiati di maggior successo hanno accantonato trash e violenza per narrare vita autentica. Gli ascolti stanno crescendo. Spero che anche in Italia qualcosa cambi presto. Mi fido molto di Lorenza Lei, nuovo direttore generale della Rai, conosce assai bene la macchina ed è in grado di farla funzionare» . Naturalmente c’è il sassolino nella scarpa: «Nel 1991, quando lasciai l’Italstat perché avevo compiuto 70 anni, misi la mia liquidazione, 792 milioni di lire, nel progetto Lux. Con otto soci arrivammo a un capitale sociale di 8 miliardi senza supporti esterni. Oggi la società è stata valutata dalla Deloitte &Touche tra gli ottanta e i cento milioni di euro. Vent’anni fa mi chiamavano con un certo disprezzo "boiardo di Stato". Ecco cosa è riuscito a fare quel boiardo sul mercato televisivo internazionale! E dire...» . E dire? «E dire che nel 1991 Andreotti era pronto a varare un decreto legge per non impormi quel limite dell’età. Ma io gli dissi: guarda, ho altro per la testa...» . Ora, a novant’anni, racconta i progetti: «In autunno su Raiuno per la Lux Vide andrà in Onda "Cenerentola", raccontata nei nostri giorni a Roma, con Cinecittà sullo sfondo come fabbrica dei sogni. E poi "Che Dio ci aiuti", commedia venata di giallo, dove la protagonista è una suora che dirige un convitto alle prese con mille storie... Insomma, fiction, intrattenimento, un sorriso. Ma in mezzo c’è la vita vera, di tutti» . Sul tavolo, in mezzo a libri e appunti, una busta con una scritta: «Elastici» . Forse è lì, in quell’ordine antico, nella parsimonia d’altri tempi, la chiave di questi novant’anni.
Paolo Conti