Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 14/05/2011, 14 maggio 2011
2 arrticoli - I SACERDOTI BOCCIATI IN LATINO. IL VATICANO: STUDIATE DI PIU’ — L’osservazione appare oltre la metà del documento, punto 20 paragrafo b: «Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato»
2 arrticoli - I SACERDOTI BOCCIATI IN LATINO. IL VATICANO: STUDIATE DI PIU’ — L’osservazione appare oltre la metà del documento, punto 20 paragrafo b: «Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato» . Il che, in un testo della Santa Sede e a proposito di preti, potrebbe apparire una raccomandazione bizzarra. Come l’esortazione rivolta ai Seminari, «si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino» . Perché il latino continua ad essere come dal IV secolo il linguaggio ufficiale della Chiesa, perché ci sarebbero i testi dei Padri e le opere dei massimi pensatori della cristianità, da Agostino a Tommaso d’Aquino, come del resto encicliche e testi di riferimento. Il Vaticano, tra l’altro, è l’unico posto al mondo nel quale perfino i bancomat (Inserito scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem, ovvero «inserisci per favore la scheda per accedere alle operazioni consentite» ) si dilettano nella lingua di Cicerone. Molti sacerdoti, però, hanno difficoltà. Fedeli e vescovi del mondo segnalano come sia sempre più difficile trovare preti in grado di celebrare o almeno capire il latino. Come si evince dall’ «istruzione» Universae Ecclesiae, della pontificia commissione Ecclesia Dei, per la «corretta interpretazione e la retta applicazione» del motu proprio con il quale Benedetto XVI, tre anni fa, ha liberalizzato la messa in latino secondo il vecchio «messale romano» . Fin dall’inizio era prevista una «verifica triennale» . E in questo tempo non sono mancate polemiche: sostenitori del messale tridentino che accusavano alcune diocesi di voler sabotare la vecchia messa, vescovi che temevano divisioni tra i fedeli e così via. L’ «istruzione» , in questo senso, insiste saggiamente sulla «finalità di riconciliazione» del Papa, ha spiegato padre Federico Lombardi: e infatti da una parte invita alla «generosa accoglienza» dei fedeli che chiedessero la forma extraordinaria, cioè la vecchia messa; dall’altra avverte che questi fedeli «non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria» . Ma poi c’è un ostacolo che va al di là delle polemiche e della Messa tridentina. In molti casi, ha spiegato lo stesso portavoce della Santa Sede, era difficile trovare un prete che sapesse celebrare in latino. E non solo perché in pochi ricordano o hanno studiato il vecchio rito (l’ultima versione del «messale romano» è quella del 1962), il che si può capire. Ma anche perché, semplicemente, non sanno, o sanno poco, il latino. Possibile? Possibile: «Certo, nelle nostre università lo studio del greco e del latino è obbligatorio, ma certo è un problema nei seminari, una perdita grave» , sospira l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del pontificio Consiglio per la «nuova evangelizzazione» , già rettore della Lateranense: «Prima si faceva solo il liceo classico e il problema non si poneva. Oggi vi si arriva, dopo la maturità, anche da diversi tipi di studi che non prevedono il latino. E recuperare è difficile» . Problema generale, considera il grande teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e Vasto: «Nella società contemporanea si è persa la consapevolezza dell’importanza delle lingue classiche, c’è una mentalità che contagia tutti: la comunicazione immediata, rapida, semplificante» . Ma «la conoscenza delle lingue classiche è necessaria per chi vuole essere servitore della Parola di Dio» , aggiunge Bruno Forte: «Prenda questa fare bellissima di Agostino: Nulla maior est ad amorem invitatio, quam praevenire amando. Sì, possiamo tentare di tradurla, dire che non c’è invito più grande all’amore che prevenire nell’amore. Ma uno che legge Agostino e non conosce il latino non apprezzerà mai la forza del suo messaggio, la sua potenza espressiva. Non stiamo parlando di qualcosa di superfluo o retrogrado: è un discorso di crescita nella verità e nella profondità della fede» . Gian Guido Vecchi «IO OGNI MESE RECUPERO LA TRADIZIONE. LE DIFFICOLTA’? COLPA DELLA SCUOLA» — «È vero, purtroppo» . Ma perché, eccellenza? «Cosa vuole: già alle medie il latino non si studia più, quelli che hanno fatto il classico o lo scientifico non sono molti. Così si fanno corsi accelerati, come accade anche ai preti che arrivano dall’estero per specializzarsi a Roma: ma in qualche semestre non puoi recuperare gli anni perduti...» . Monsignor Raffaello Martinelli, 62 anni, ventitré dei quali passati alla Congregazione per la dottrina della fede guidata da Joseph Ratzinger, vescovo di Frascati, va controcorrente: «Una domenica al mese dico messa in latino: nella forma ordinaria» . E la chiesa è sempre piena, come le altre domeniche. Ci sono fedeli che le hanno chiesto la messa con il vecchio rito? «All’inizio sì. Io chiedevo: ma con il vecchio messale o nella forma ordinaria, la messa in latino di Paolo VI? E molti di loro: perché, che differenza c’è?» . Quindi che cosa ha fatto? «Ho iniziato a seguire sempre la forma ordinaria, ma una volta al mese nella versione latina. E tutte le domeniche cerco di recuperare il canto gregoriano, il Sanctus, l’Agnus Dei...» . Reazioni? «Sono contenti gli uni e gli altri. Chi desiderava il vecchio «messale e chi voleva solo l’italiano. Ho fatto stampare dei libretti con il testo latino e la traduzione, e quando c’è la messa in latino i fedeli non diminuiscono: seguono, imparano e apprezzano» . Detto così, pare semplice... «Ma le contrapposizioni, anche con il vecchio messale, non hanno senso! Perché dobbiamo perdere un patrimonio di millecinquecento anni? Ogni tanto, la domenica, dico in latino anche il Pater noster: è un modo per sentirci uniti ai cristiani di tutto il mondo, dico, la nostra lingua comune. Quando si spiega, la gente è disponibile. Legge il libretto. Ormai lo hanno imparato tutti...» . G. G. V.