Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 21 Sabato calendario

COSI’ DOVEVA ESSERE SEPOLTO BIN LADEN

Meglio un tuffo in mare che un luogo di culto in terra. L’America ha sepolto nelle acque del mar Arabico il corpo di Osama Bin Laden insieme al terrore che la salma interrata del leader di Al Qaeda diventasse pericolosa meta di pellegrinaggio del mondo musulmano. Ma i frettolosi funerali, secondo gli Usa “nel pieno rispetto del Corano”, hanno attirato le critiche della prestigiosa accademia delle ricerche islamiche di Al Azhar del Cairo. Perché? Quali sono le regole da rispettare per un passaggio corretto all’Aldilà? In Italia, per esempio.
Si parla tanto di come i musulmani arrivano qui. Niente si sa di ciò che succede dopo, alla morte. Niente del passaparola che sorpassa le indagini della Procura; niente della colletta che scatta in macelleria, in moschea e nel condominio; niente della ragnatela burocratica che incastra per mesi.
«Secondo il Corano la sepoltura dovrebbe avvenire in terra d’Islam entro 24 ore - spiega Faouzi Haj Sassi, 44 anni, che si occupa dei defunti per la comunità musulmana torinese, e titolare di una gastronomia - ma è impossibile riuscire ad avere il passaporto mortuario in tempo». La stessa burocrazia che ha fatto tante difficoltà a farti entrare da vivo, non ti lascia più uscire una volta morto. Quindi, o aspetti, o vai da Faouzi, che prepara il corpo secondo il rito dell’Islam, e fai celebrare il funerale in Italia. «Eppure sono pochi i musulmani che scelgono di rimanere: gli anziani tornano a casa prima della fine», conferma Faouzi.
Il problema naturalmente è che si sa di morire, ma non quando e non sempre pianificare è possibile. Tanto più che nel 55 per cento dei casi gli stranieri passano a miglior vita all’improvviso: per un incidente sul lavoro, in auto, per omicidio o incidenti domestici. «Se la morte è violenta i tempi si allungano», conferma Faouzi, «allora tanto vale organizzare il rimpatrio». E se il caro estinto non ha documenti, o non è residente in Italia, servono le impronte digitali. «E allora apriti cielo», ironizza Faouzi, «il consolato deve inoltrare una richiesta al Ministero degli Affari Esteri e, tra una pratica e l’altra, passano i mesi». Per rimediare Faouzi ha trasformato la sua gastronomia El Wehda (in arabo l’unione) in un punto di riferimento della comunità. Così, tra un kebab alla bagna càuda e una fetta di carne halal, trova i parenti e seppellisce il morto: «Ho lasciato il mio numero in Prefettura e agli ospedali, nelle moschee e nei locali arabi. Quando un musulmano muore», dice, «la mia rete si attiva e trova i familiari». Le forze dell’ordine ci provano, «ma spesso», spiega, «a un’impronta digitale corrispondono diversi nomi. Noi ci riconosciamo al volo, senza tecnologia».
Faouzi ha mani grandi, curate e profumate. Fa un certo effetto pensare che tagliano l’insalata e lavano le salme: «Ho deciso di occuparmi dei morti per caso», spiega, «stavo assistendo a un rito, ho avuto da ridire sul metodo e sono stato invitato a prendere il posto di chi stava svolgendo la funzione. Avere a che fare con i morti significa capire i vivi».
Funziona così: «Ci chiamano all’obitorio, siamo in due a lavare il corpo, a depurarlo, a profumarlo con il cedro, a cospargerlo di naftalina o canfora e poi ad avvolgerlo in un lenzuolo senza cuciture che riporterà l’uomo alla Terra da cui proviene». Poi si va al cimitero: se il defunto è maschio lo portano gli uomini, altrimenti le donne.
Se invece, come accade nella maggior parte dei casi, si torna a casa per il sonno perpetuo, la palla passa alle pompe funebri che si occupano del rimpatrio: «La bara viene pesata all’aeroporto, si paga un tot a chilo e in base alla destinazione», spiega Sergio Malgaroli, dal 1962 titolare dell’agenzia funebre La Fiaccola, a Torino. Il signor Malgaroli ne ha spediti tanti in Nigeria: «Dopo ogni lutto, i membri della comunità organizzano nella mia agenzia una sorta di lista nozze: chi può dà un obolo di contributo. Non sa quante volte è toccato a me mettere la differenza».
Poche vie più in là, la vetrina di Luna promette, in arabo e italiano, "carri funebri moderni e bare per musulmani, permessi di sepoltura e trasporto in Italia e all’estero". L’ha aperta due anni fa Nabil Bouassaba, marocchino trentenne, in Italia da dieci, laureando al Politecnico. Come Faouzi, Nabil parla un italiano impeccabile, anche lui è sposato con una torinese e padre di due bambini. Anche Nabil, dopo anni di volontariato, ha fatto due più due: a Torino vivono almeno trentamila musulmani, in Italia, ogni anno muoiono quattromila stranieri, cinquecento solo tra i marocchini. «Eppure non esiste un servizio funebre ad hoc», spiega. E allora perché non prendere esempio «dal grande amico Faouzi? Lui è il punto di riferimento di chi rimane qui», racconta, «io di quelli che tornano a casa. Con dieci euro l’anno», spiega, «si attiva una polizza che copre le eventuali spese funebri». L’iniziativa non ha avuto successo "perché la gente fatica a pensare a lungo termine".
Certo è che i musulmani d’Africa e d’Asia, preferiscono sborsare fior di quattrini per il rimpatrio - a eccezione di Egitto, Tunisia, Senegal e Bangladesh che coprono gran parte delle spese - e aspettare anche sei mesi per la burocrazia, piuttosto che riposare per l’eternità in Italia. «In Marocco», racconta Munir Assant, di Casablanca, «il funerale si fa in moschea, il lutto dura 40 giorni e poi si fa una festa a base di cous cous».
«In Bangladesh il morto viene coperto di veli bianchi», spiega Mizan Afroza, ambulante di Dacha, «e dopo il funerale, spesso i più ricchi lo seppelliscono nel giardino di casa». Pratica impossibile in Italia.
Economia a parte, gli altri ostacoli sono legislativi. Se da noi, infatti, è permesso interrare il corpo avvolto in un lenzuolo, come vuole l’Islam perché si decomponga prima, è obbligatorio però arrivare al cimitero dentro al feretro:
«E allora», spiega Faouzi, «una volta comprata la bara tanto vale mandarla nel Paese d’origine dove c’è la famiglia. Non come qui, dove tutti lavorano e non hanno tempo per i morti».
Anche perché farsi seppellire in Italia, esempio a Torino, non è per nulla regalato: 1.280 euro per una tumulazione decennale al cimitero Parco, da 3.627 a 5.300 euro per un loculo da 20 o 40 anni. Altro freno, visto che la sepoltura musulmana è definitiva.
La solfa cambia quando a morire è un bambino: «i genitori lo vogliono vicino», dice Faouzi. E il registro della sezione musulmana del cimitero Parco di Torino conferma: il 65 per cento dei sepolti aveva meno di un anno. Al momento, nei 35 metri per 150 ricoperti di ghiaia e rivolti alla Mecca, riposano 297 corpi e lapidi, alcune sobrie, come vuole l’Islam, altre un po’ meno, con tanto di uccellini e cuori trafitti, versetti del Corano e dediche d’amore, minareti in miniatura e fiori di plastica.
Eppure la questione cimiteri musulmani in Italia promette faville. Come quelle esplose nell’aprile 2010 a Udine, dove la popolazione ha promosso una raccolta di firme per dissotterrare una neonata del Bangladesh tumulata secondo il rito islamico. La sua sepoltura sarebbe stata "irrispettosa dei sentimenti più intimi della maggioranza della popolazione", sosteneva la comunità. Stessa musica a Possano, in provincia di Cuneo: la salma rivolta verso La Mecca di un bambino musulmano, travolto da un’auto mentre correva in bici, ha scatenato gli animi.
La questione è finita in consiglio comunale e c’è chi paventa una raccolta di firme, in vista di un referendum contro una modifica del regolamento comunale: «Il cimitero», ha spiegato il sindaco Francesco Balocco, «è un luogo laico, aperto ai credenti o non credenti e appartenenti a qualsiasi confessione».
Atteggiamento coerente con l’articolo 3 della Costituzione sulla libertà di culto. «I musulmani», continua il sindaco, «pagano l’inumazione per 99 anni. Abbiamo previsto un rinnovo perché il loro credo non prevede l’esumazione. I bambini sotto i 10 anni non pagano».
Più che luoghi veri e propri, in Italia ci sono aree dedicate: i cimiteri musulmani sono rarissimi. Ce n’è uno a Venafro, in provincia di Isernia, nato ai tempi della cacciata dei Turchi da Otranto e dei Saraceni da Mazara. Riposano circa 7mila soldati francesi – oltre 4mila di origine magrebina – caduti nel ’43-44 sulla Linea Gustav. A Torino di Sangro, in provincia di Chieti, il cimitero militare inglese ospita 400 caduti dell’Indian Army, in prevalenza del Punjab: musulmani e indù sono sepolti sotto la scritta: “Dio è colui che perdona. A Lui apparteniamo e a Lui ritorniamo”. Un mix notevole. E comunque, secondo una legge del 1990, «i piani cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello dei cattolici».
Giulia Vola