Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 13/05/2011, 13 maggio 2011
COME DE GASPERI E UMBERTO EVITARONO LA GUERRA CIVILE - A
commento della sua risposta a un lettore a proposito dei giorni in cui De Gasperi fu capo dello Stato, va aggiunto che, contrariamente a quanto molti credono, Alcide De Gasperi non fu mai «nominato capo dello Stato» . Tre giorni dopo la comunicazione dei risultati provvisori del referendum istituzionale (che avvenne il 10, non l’ 8 giugno 1946), alle 0.15 del 13 giugno 1946, con decisione politica e scavalcando la legge istitutiva del referendum, il governo conferì arbitrariamente al suo presidente, Alcide De Gasperi, «l’esercizio delle funzioni» di capo dello Stato. Fu un «gesto rivoluzionario» , come dichiarò il ministro Epicarmo Corbino. Lo stesso giorno Umberto II lasciò l’Italia, che pertanto ebbe due «sovrani» : il Re e un «facente funzione» di capo dello Stato. Il 18 giugno la Corte Suprema di Cassazione comunicò l’esito del referendum senza proclamare la Repubblica perché la legge istitutiva del referendum non lo prevedeva: e l’indomani, 19 giugno, uscì il n. 1 della «Gazzetta Ufficiale» della Repubblica. Da quel momento, non prima, De Gasperi fu capo provvisorio. Su personale perentoria imposizione del ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti (comunista), il governo negò la verifica delle schede asserendo che «forse» erano già state distrutte (!). Nel referendum del 2-3 giugno 1946 su 28.000.000 aventi diritto al voto la Repubblica ebbe 12.700.000 suffragi: il 42 per cento: un po’ meno della maggioranza... La storia di quei giorni spiega molto degli anni seguenti.
Aldo A. Mola
aldoamola@alice. it
Caro Mola, abbiamo ricevuto altre lettere, scritte da lettori prevalentemente monarchici, che contestavano questa o quella data proponendo una diversa sequenza degli eventi. Effettivamente la comunicazione dei dati, da parte della Corte di Cassazione, ebbe luogo il 10 giugno (anziché l’ 8, come ho scritto erroneamente). Ma sul giorno in cui il Consiglio dei ministri affidò a De Gasperi il compito di reggere provvisoriamente lo Stato, non vi è fra me e lei alcuna differenza. Io ho scritto la notte del 12 giugno, lei preferisce il primo quarto d’ora del 13. Non vi è sostanziale differenza neppure tra le nostre definizioni di De Gasperi. Io ho scritto che fu capo dello Stato di un regime provvisorio, lei preferisce la formula legalmente impeccabile di capo provvisorio dello Stato. Le differenze, se mai, sono politiche e sentimentali. Lei non ha mai permesso che la fede monarchica influenzasse il suo lavoro di studioso, ma crede, come altri lettori, che nel giugno del 1946 sia stata commessa, a danno della monarchia, una grave ingiustizia. Io penso invece che De Gasperi e Umberto, ciascuno nel suo campo, abbiano concorso a evitare che l’Italia scivolasse nella guerra civile. La monarchia avrebbe avuto maggiori possibilità di sopravvivere se il referendum fosse stato indetto un anno dopo. Umberto avrebbe avuto il tempo di rafforzare la sua immagine. Il ritorno in patria dei prigionieri di guerra italiani avrebbe allargato considerevolmente il numero dei votanti. Gli echi della guerra fredda avrebbero convinto una parte dell’elettorato che la monarchia poteva rappresentare un più solido baluardo contro la marea comunista. Ma nel giugno del 1946, un anno dopo la liberazione del Nord, il ricordo dell’ 8 settembre e della fuga di Pescara avevano creato a nord degli Appennini una corrente maggioritaria che detestava la monarchia e di cui facevano parte anche i seguaci della Repubblica di Mussolini. Lei scrive, caro Mola, che i 12.717.923 voti della Repubblica non rappresentavano la maggioranza assoluta. Ma la monarchia aveva avuto due milioni in meno e neppure l’ipotesi dei brogli (quanti? dove?) sarebbe bastata a raffreddare gli animi di coloro che erano persuasi di avere vinto.
Sergio Romano