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 2011  maggio 13 Venerdì calendario

BOLOGNA, LA SINISTRA RISPOLVERA LA CARTA DEL BUONGOVERNO CONTRO L´ASSALTO DEL CARROCCIO - BOLOGNA

Si narra che l´antica e premiata fabbrica bolognese dei Grandi Sindaci, da Giuseppe Dozza a Renato Zangheri, da Guido Fanti a Renzo Imbeni, abbia persino rischiato per un momento di vedere il Trota candidato a Palazzo d´Accursio. A parte le leggende metropolitane, quel che è sicuro è che Bossi per marcare gli equilibri del dopo deve dimostrare a Berlusconi che ce l´ha più duro di lui non solo in Veneto e in Lombardia, ma anche in Emilia Romagna. Nord uguale Lega. Altri tempi quattordici anni fa – sindaco il post-comunista Walter Vitali - quando il capo leghista sceso per un comizio nella capitale del modello emiliano, l´ex pezzo di simil-socialdemocrazia scandinava trapiantato in Pianura Padana, fu vittima di un lancio di bottiglie in Piazza Maggiore. «Di vetro e piene», ha raccontato l´altro giorno dal palco bolognese, al fianco di Giulio Tremonti, il quale con sei parole sul candidato di centrosinistra, che di cognome napoletanissimo fa Merola (peraltro, nel capoluogo i Merola sono 114 e tutti ormai bolognesi doc), ha oscurato per sempre la sua cifra di elegante e raffinato intellettuale, preconizzando per il futuro l´arrivo di un sindaco Alì Babà, con umorismo alquanto zotico.
Strappata a Berlusconi la candidatura leghista, Roberto Maroni ha convinto gli zelatori di famiglia del cerchio magico bossiano che a Bologna ci voleva non il figlio del capo, ma un figlio del popolo. Così, tra gli anatemi del coordinatore del Pdl Filippo Berselli sul ridicolo "ruggito del topo" di chi ha solo l´8 per cento dei voti, esternati finché da Roma non gli hanno ordinato di tacere e di accettare la candidatura leghista, è decollato Manes Bernardini. Classe 1972, figlio di un ferroviere e di un´operaia comunisti, sposato con una signora di Barletta, forse per questo è considerato un leghista dal volto umano. Al punto da incassare i complimenti dell´architetto Pier Luigi Cervellati, che fu in giunta con Dozza e Zangheri, del segretario della Cgil Danilo Gruppi («Il volto pulito e garbato del Carroccio») e di Gianfranco Pasquino, per un decennio senatore della Sinistra indipendente. «Non fossi di sinistra, lo voterei», dice Pasquino prevedendo che se si va al ballottaggio la Lega se la può giocare. Non sembra proprio così, nonostante Manes, speranzoso nel ballottaggio, vellichi persino il candidato grillino Massimo Bugani: «Fa politica con il cuore, è giusto che venga premiato dagli elettori».
Ma è comprensibile che a sinistra, cresca l´ansia che porterà stasera Pierluigi Bersani senza Romano Prodi, che si è limitato a spedire una lettera di appoggio a Merola, a chiudere la campagna elettorale non a Milano, dove si gioca la partita di maggiore valenza nazionale, ma a Bologna.
Non tanto perché il candidato del centrosinistra sia debole, o sia stato assessore con Sergio Cofferati, che la città non ha mai amato persino al di là dei suoi demeriti. Non perché è nato a Santa Maria Capua Vetere. O perché fa qualche gaffe calcistica augurando la serie A, dove già milita, al Bologna Calcio, da poco salvato per la gioia cittadina dalle grinfie del discotecaro cagliaritano Sergio Porcedda, con l´intervento di una cordata messa insieme dall´ex boss dell´Unipol Giovanni Consorte, che in città dilaga con la sua Intermedia. Ma perché la disgrazia dell´affare Delbono, il sindaco dimissionario che andava in vacanza privata con l´amante a spese pubbliche, pesa ancora. E, per chi l´avesse dimenticata, c´è a ricordarla l´ex fidanzata Cinzia Cracchi, capolista con la lista Nettuno di Angelo Maria Carcano. Poi l´onta del commissariamento.
Una sequenza di eventi che ha come minato ciò che restava di quel compromesso emiliano tra ceti medi e "rossi", il mito di buongoverno che in fondo resisteva fin dai tempi di Togliatti e, scomparsi i comunisti, aveva in qualche modo retto anche dopo l´elezione del sindaco di destra Giorgio Guazzaloca.
Ora la città è "asfittica", secondo il bolognese Pier Ferdinando Casini che ha candidato per il Terzo Polo Stefano Aldovrandi, ex manager Hera guazzalochiano, ma che dall´ex sindaco prende le distanze: «Siamo amici, ma siamo diversi. Io unisco, lui divide».
La bolognesità, uno dei cardini dell´antico compromesso emiliano, ha fatto irruzione in campagna elettorale per bocca di Bernardini, stavolta poco garbato, brandita contro l´avversario Merola. «Chi non è bolognese doc non può sentire e capire certe cose», ha detto rispolverando il solito minimale mantra leghista in salsa emiliana: il dialetto, i "turtlen" e il Bologna Calcio. Ma altro è la bolognesità, gli ha replicato Merola: «I veri bolognesi sono quelli che hanno a cuore la scuola pubblica, il lavoro, i servizi. I tuoi bolognesi, Manes, sono quelli che puntano il dito contro i marocchini e poi presentano dichiarazioni dei redditi false». Zangheri non era bolognese, ma ha contribuito a fare grande la storia cittadina. Umberto Eco è nato ad Alessandria, ma la città se ne gloria.
Ecco che riaffiora l´orgoglio del buongoverno che fu il modello emiliano del passato. Dozza, che fu insediato come sindaco dal generale Hume nel 1945 e rimase in carica per cinque mandati, trovò una città distrutta dalla guerra. In pochi anni realizzò asili, acquedotti, infrastrutture, trasporti pubblici. Portò a Bologna l´architetto Kenzo Tange e quando l´Anas presentò il progetto per la tangenziale, s´impuntò: «Non si può fare una strada a quattro corsie perché dobbiamo pensare ai prossimi trent´anni, quindi la tangenziale deve essere a otto corsie». Fu realizzata nel giro di tre anni ed è quella su cui si viaggia. Questa è la progettualità della politica che funziona e che faceva la Bologna comunista più simile a Stoccolma che a Mosca, con la benedizione del cardinal Giacomo Lercaro, che non lesinò un intenso dialogo post-conciliare.
Oggi Bologna è avvitata intorno a 49 mostri che giacciono da anni in rimessa al modico costo di un milione e ottocentomila euro ciascuno. Sono i tram su gomma a guida ottica, con telecamera per leggere strisce disegnate per terra, dello sciagurato progetto Civis. Costo complessivo stimato verso i 200 milioni di euro. Ma non funzionano e non funzioneranno mai, come hanno già dimostrato le esperienze di qualche città francese, che però ha prudentemente rifiutato di acquistarli in blocco.
Il traffico insidia la fragilità della Garisenda, come denuncia Cervellati, giace il progetto del nuovo auditorio di Renzo Piano, mentre sotto il nome di People Mover va quello di un inutile collegamento con l´aeroporto, dal costo di un centinaio di milioni. Incalzano le pressioni per la costruzione di nuovi stadi, mentre gli uffici giudiziari soffocano in un palazzo che Romano Volta di Datalogic ha affittato al comune per 4 milioni e 300 mila euro l´anno per dodici anni, quanto basta per rifarsi di ciò che l´ha da poco pagato.
Con la politica alquanto confusa, sotto le due torri vegliano insonni Consorte e, dalla tolda della Fondazione Carisbo, l´ex venerabile Fabio Roversi Monaco. Chissà se lunedì potrà riaprire l´antica fabbrica dei Grandi Sindaci.