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 2011  maggio 13 Venerdì calendario

In Siria Facebook torna libero ma si usa per incastrare i ribelli - Come da copione, come già successo in Tunisia, in Egitto, in Libia, la lotta del re­gime siriano per la sopravvi­venza si combatte con i carri armati per le strade del Paese ma anche sui siti internet

In Siria Facebook torna libero ma si usa per incastrare i ribelli - Come da copione, come già successo in Tunisia, in Egitto, in Libia, la lotta del re­gime siriano per la sopravvi­venza si combatte con i carri armati per le strade del Paese ma anche sui siti internet. Fin dall’inizio della rivolta, il go­verno di Bashar El Assad ha bloccato l’accesso in Siria al­la stampa internazionale. I so­cial network, da Twitter a Fa­cebook passando per You Tu­be, sono diventati così l’uni­co modo per far circolare le immagini amatoriali delle violenze. Al contrario di quanto successo altrove, in un primo momento Face­book è diventato per il regi­me un modo per monitorare gli umori del Paese. A febbra­io, infatti, quando le strade dell’intero mondo arabo era­no­in subbuglio e la Siria sem­brava essere immune al con­tagio rivoluzionario, il gover­no Assad fece una mossa che fu interpretata allora come una concessione. Fu garanti­to l’accesso a Facebook e You Tube, bloccati dal 2007. Ma subito, gli esperti regionali di mass media misero in guar­dia i cyberattivisti. Con la le­galizzazione dei social network il regime poteva in­fatti monitorare a suo piaci­mento le mosse dell’opposi­zione siriana, attiva sulla re­te. Non sorprende così la testi­monianza di un attivista siria­no raccolta dal quotidiano britannico Daily Telegraph che racconta come la recente ondata di arresti,migliaia nel­l’ultima settimana, abbia mi­nato le capacità organizzati­ve dell’opposizione. I network degli attivisti su Fa­cebook e Twitter sarebbero stati infiltrati dagli agenti del regime che avrebbero ottenu­to sotto tortura le password di accesso. Anche se non in tutta la Si­ria è garantito l’accesso al web, alcune connessioni sa­tellitari e il lavoro della dia­spora siriana all’estero han­no mantenuto finora vivace l’attività dell’opposizione online. Diventa però ogni giorno più difficile, con i tele­foni cellulari e le linee fisse di­sattivate, internet bloccato nelle aree della rivolta, teleca­mere installate nelle mo­schee di cittadine come Deir Zor, nell’est, organizzare nuove manifestazioni, scam­biare informazioni, trovare luoghi di incontro e mettere online notizie e video delle re­pressioni. Il regime ha imparato an­che a usare le armi dei suoi ri­vali. Migliaia di messaggi Fa­cebook in sostegno del rais Assad sono arrivati sulle pagi­ne della Casa Bianca e delle istituzioni europee. Sono sta­ti creati profili Facebook di propaganda del governo che accusavano i manifestanti di «terrorismo» e minacciava­no i cyberattivisti definendo­li agenti al soldo della Cia. E ieri, centinaia di persone si sono riunite a Damasco,da­vanti all’ambasciata america­na e alla sede dell’emittente del Qatar Al Jazeera, denun­ciando la «cospirazione» americana contro il regime. Gli Stati Uniti intanto alzano i toni. Per il capo del diparti­mento di Stato americano, Hillary Clinton, in visita ieri in Groenlandia, la represso­ne del regime siriano è un se­gnale «di estrema debolez­za ». Indiscrezioni della stampa americana hanno fatto trape­lare mercoledì informazioni sulla possibilità che Washin­gton prenda presto una posi­zione più dura nei confronti di Damasco, arrivando perfi­no a dichiarare l’illegittimità di Assad. Manca però un con­­senso internazionale. L’allea­to turco Recep Tayyip Erdo­gan, che poche ore fa aveva usato parole di dura condan­na contro le violenze, ha det­to sugli schermi della tv ame­ricana che «è ancora troppo presto per chiedere le dimis­sioni di Assad».