Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 13 Venerdì calendario

Cinque anni a Demjanjuk boia di Sobibor - Condannato a cinque anni di carcere e rilasciato nel giro di poche ore: si è concluso così in primo grado il processo contro John Demjanjuk, probabilmente l’ultimo grande dibattimento giudiziario per crimini nazisti organizzato in Germania

Cinque anni a Demjanjuk boia di Sobibor - Condannato a cinque anni di carcere e rilasciato nel giro di poche ore: si è concluso così in primo grado il processo contro John Demjanjuk, probabilmente l’ultimo grande dibattimento giudiziario per crimini nazisti organizzato in Germania. Per il tribunale di Monaco Demjanjuk ha prestato servizio nel 1943 come guardiano nel campo di sterminio di Sobibor, nella Polonia occupata dai nazisti, e ha contribuito all’uccisione di 28.060 ebrei, spediti nelle camere a gas subito dopo il loro arrivo. Tuttavia va rimesso in libertà: tenerlo in carcere sarebbe sproporzionato, visto che ha 91 anni e ha trascorso gli ultimi due in custodia cautelare, hanno argomentato i giudici. Inoltre il pericolo di fuga è minimo, tanto più che gli Stati Uniti, il Paese in cui ha trascorso l’ultimo mezzo secolo, gli hanno tolto la cittadinanza. Dopo aver passato un’ultima notte in carcere, oggi gli verrà trovato un posto letto fuori. L’apolide John Demjanjuk, nato in Ucraina nel 1920 come Ivan Nikolai Demjanjuk, emigrato negli Usa dopo la guerra e scampato a un’esecuzione nel 1993, quando un tribunale israeliano si rese conto, dopo averlo condannato a morte, di averlo scambiato col sadico guardiano di Treblinka noto come «Ivan il Terribile», resterà in Germania a piede libero finché non verrà emessa la sentenza definitiva. Una scelta che ha scatenato polemiche. «È una decisione terribile», ha detto il «cacciatore di nazisti» Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal. Ieri, a due anni esatti dalla sua estradizione a Monaco, Demjanjuk è stato riconosciuto colpevole di aver «fatto parte della macchina dello sterminio» nazista, come ha spiegato il presidente della corte, Ralph Alt. Parole che l’imputato si è fatto scivolare addosso senza mostrare la minima reazione, disteso sullo stesso lettino dal quale nell’ultimo anno e mezzo ha seguito il processo, gli occhi nascosti dietro un paio di occhiali neri. Neanche nell’ultima delle 93 sedute ha voluto rilasciare dichiarazioni. Le sue uniche parole risalgono alle prime settimane del processo, quando, rivolto ai giornalisti, sbottò: «Non sono Hitler, quindi che volete?». È innocente, è un capro espiatorio, gli ha dato manforte il suo avvocato, Ulrich Busch, che ha annunciato un ricorso in Cassazione. Di parere opposto la corte, che ha accolto quasi alla lettera la richiesta di sei anni avanzata dal pubblico ministero. In mancanza di testimoni oculari ancora in vita il processo è ruotato intorno a un foglio ingiallito dal tempo, il documento delle SS numero 1393, su cui è annotato: Iwan Demjanjuk, trasferito a Sobibor il 27.3.43. È la prova decisiva: Demjanjuk ha lavorato a Sobibor, un campo costruito con l’unico scopo di liquidare gli ebrei, per cui si è reso corresponsabile dello sterminio. Era un Trawniki, come vengono chiamati i soldati dell’Armata Rossa che vennero fatti prigionieri dai nazisti e decisero di collaborare alla Soluzione finale, e «tutti i Trawniki sapevano quello che succedeva», ha sintetizzato il giudice Alt. La vicenda, tuttavia, non è chiusa. Prima che arrivi la sentenza definitiva potrebbe passare un anno e mezzo. Forse troppo, per Demjanjuk.