Tonia Mastrobuoni, La Stampa 11/05/2011, 11 maggio 2011
DOPO IL NUCLEARE? IL GAS DELLE ROCCE -C’ è
una «rivoluzione in atto» che parte dagli Stati Uniti ma che «è inevitabilmente destinata a cambiare le politiche energetiche mondiali e, potenzialmente, quelle italiane». Stefano Saglia è netto. Dopo la rinuncia al nucleare annunciata dal governo e la possibilità che il referendum del 12 e 13 giugno sancisca per la seconda volta l’uscita dell’Italia dall’atomo, il sottosegretario allo Sviluppo con delega all’energia aveva già annunciato settimane fa che il futuro sarebbe stato «a tutto gas». Ma visto che quello facilmente estraibile sta diventando sempre più raro, il futuro è in alcuni tipi di combustibili che vengono estratti con tecniche complesse come il cosiddetto «gas da scisti».
Si tratta di un gas ricavato da rocce particolari che viene estratto attraverso perforazioni orizzontali e tecniche complicate come quella di frantumarle bombardandole con getti di acqua e sostanze chimiche. E in Francia è partito ieri, tra le veementi proteste degli ambientalisti, il dibattito parlamentare sulla nuova legge per lo sfruttamento degli idrocarburi, compresi questi gas estratti dalle rocce.
In Italia, spiega Saglia a La Stampa , ci sono scarse possibilità di estrarlo «perché manca la roccia e perché ci vogliono zone ampie non popolate i campi». Ma importandola dall’estero le politiche energetiche porebbero cambiare molto. Gli Stati Uniti insegnano che il potenziale è notevole, anche dal punto di vista geopolitico. In un rapporto dello scorso mese dell’ente per l’informazione energetica del governo (Eia) si legge che nel 2010 costituivano già il 23% della produzione di gas nazionale. Ma entro il 2035 gli americani contano di arrivare al doppio, al 46%.
Dal 2007, precisa Massimo Orlando, amministratore delegato di Sorgenia - l’unica azienda italiana assieme all’Eni che punta su questa fonte - «la produzione è aumentata da 50 miliardi a 130 miliardi di metri cubi». Un aumento, 80 miliardi di metri cubi, che equivale circa al fabbisogno energetico annuo italiano.
Per capire il significato di quella che anche Orlando chiama «oggettivamente» una rivoluzione, occorre aggiungere che gli Stati Uniti guardano con interesse a 32 paesi potenzialmente ricchi di questa fonte di energia. Tra questi c’è anche la Polonia, dove Sorgenia ha una quota del 27% di Saponis, che ha conquistato la settima concessione sul gas di scisto in Europa. Certo, c’è ancora molta incertezza sull’estraibilità - Orlando sottolinea che «c’è una differenza tra risorse e riserve». Ma la stessa Iea (Agenzia internazionale dell’energia) ha «allungato le stime sui tempi di esaurimento delle scorte dai 70 anni di cinque anni fa a 250 anni», grazie all’ottimismo sulla raggiungibilità di questi giacimenti.
Per l’Italia il gas di scisto può essere un’opportunità soprattutto perché consentirebbe una diversificazione delle fonti energetiche. Com’è noto, com’è emerso nuovamente con la crisi libica, il nostro paese ha un problema di dipendenza eccessiva da tre paesi instabili e poco affidabili. Oltre alla Libia, Algeria e Russia. Saglia ammette che se l’Italia investirà in questo tipo di gas, «il mercato spot potrebbe essere più liquido e potrebbe porsi fuori dal monopolio del gasdotto». È evidente però che se l’Italia volesse sfruttare la possibilità di moltiplicare le fonti di approvvigionamento da gas per ridurre la sua dipendenza da regimi o dai tubi puntando sullo «shale» dovrebbe anche «sviluppare le infrastrutture adatte». Detto in soldoni: «occorre sviluppare altri tre o quattro rigassificatori, oltre a quelli che abbiamo già», puntualizza Saglia.
Per Massimo Orlando c’è un altro aspetto che rende questo tipo di fonte energetica interessante: il prezzo. Con i rialzi paurosi del petrolio dell’ultimo anno, «il prezzo gas non si è mosso». L’ad di Sorgenia è convinto che «il gas da scisto sia la vera alternativa al nucleare». Ma su questo, Saglia non è d’accordo: «nel mix di fonti energetiche, a mio parere il nucleare è insostituibile», conclude.