Enrico Deaglio, GQ maggio 2011, 12 maggio 2011
LA BALLATA DI BOB E SUZE
La copertina dell’Lp è una delle cinque o sei più famose del Novecento: The Freewheelin’ Bob Dylan, anno 1963. Bob e una ragazza sconosciuta camminano abbracciati in una strada del Greenwich Village, con la neve sporca per terra. Jeans e giubbotto di renna lui, impermeabile, stivali, lunghi capelli biondi e un gran sorriso, lei. Le canzoni erano, tanto per intenderci: Blowin’in the wind, A hard rain’s a-gonna fall, Don’t think twice, it’s ali right... il primo successo del folksinger americano di 22 anni.
Sì, ma la ragazza che era con lui, chi era? Un’amica o una trovata pubblicitaria? Ci sono voluti quattro decenni per metterla a fuoco: si chiamava Suzanne (Suze) Rotolo, aveva 19 anni ed era l’inseparabile fidanzata di Dylan; dopo quell’immagine, però, è scomparsa dai riflettori.
Suze Rotolo, figlia di comunisti italiani, militante comunista lei stessa, è stata responsabile dell’educazione politica, culturale e sentimentale del giovanissimo Bob e dei testi di alcune delle sue canzoni più famose. Una vicenda irripetibile e fascinosa, la loro. Con una presenza ingombrante: la Mamma Italiana che, benché comunista, non amava i capelloni e i perdigiorno.
Tutto inizia nell’estate del 1961 a New York. Suze Rotolo ha 17 anni e vive con la madre vedova in un condominio di Queens. E una red diaper, "pannolino rosso", come vengono chiamati i figli di comunisti. La mamma, Maria Pezzati, bella donna nata a Piacenza, negli anni Trenta era stata mandata dal Partito a Parigi a fabbricare passaporti falsi per i fuoriusciti antifascisti italiani. Ora traduce in inglese gli articoli de l’Unità.
Il papà è un ricordo ancora fresco e doloroso. Gioachino Pietro Rotolo, detto Pere, gran bell’uomo nato a Bagheria, figlio di bottai, linotipista, sindacalista amato da tutti, fine incisore, morto giovane di infarto. Maria non si è mai ripresa. La sorella maggiore di Suze, Carla Maria (si chiama Maria per ovvi motivi e Carla in onore di Karl Marx), lavora con Alan Lomax, grande esperto di musica folk. Suze è cresciuta fra i racconti dei coniugi Rosenberg, mandati sulla sedia elettrica come spie; ha imparato la fede per il comunismo e l’avversione a Stalin, i campeggi socialisti, a cucirsi i vestiti da sola, a frequentare i musei.
Suze quell’estate ha finito il liceo. È una militante del CORE (Congress of Racial Equality), l’organizzazione che si batte contro la segregazione dei neri negli Stati del Sud. Marcia, picchetta, organizza, raccoglie soldi e, quando può, va al Village, dove si radunano i cantanti, i poeti, i filosofi, dove si fa musica e poesia in piazza e nei caffè.
Lui, Bob, si presenta sul palco di cantanti folk impacciato, con una gran massa di riccioli e le guance da bambino. Chitarra e armonica, la voce che va sulla musica. È bravo, ha ben più che qualcosa.
Cominciano a flirtare, dopo un mese vanno a vivere insieme: due stanze ammobiliate al primo piano del 161 West Fourth Street all’angolo con la Sesta Avenue, 60 dollari al mese. Sotto ci stavano "Bruno’ s Spaghetti Parlor" e un negozio di dischi.
Quasi mezzo secolo dopo, nel primo volume della sua autobiografia, Chronicles, Dylan la ricorderà così: «Me la presentò sua sorella Carla. Fu un colpo di fulmine. Suze era la cosa più erotica che avessi mai visto, la pelle chiara, i capelli d’oro, purosangue italiana. Il suo sorriso poteva illuminare una strada piena di persone; era piena di vita, con un particolare tipo di voluttà: una scultura di Rodin diventata carne, un’eroina libertina»
Suze gli insegnò tutto: la giustizia sociale, la bomba atomica, i neri del Mississippi, il socialismo, il sindacato dei lavoratori. Lui passava le notti a scrivere versi; lei gli diceva se andavano bene. Nacquero così Thè lonesome death of Hattie Carroll, The death of Emmett Till, The ballad of Medgar Evers, e soprattutto Blowin’in the wind. Mr. Tambourine Man, invece, la scrisse in una notte in cui vagava per le strade dopo aver litigato con Suze.
Lui le diceva che i genitori lo avevano abbandonato da piccolo ed era stato allevato da una famiglia di giostrai. Ma era vago: una volta succedeva in South Dakota, una volta in New Mexico. Finché una sera gli cadde il portafogli, Suze lo raccolse e buttò l’occhio sulla carta d’identità: Robert Allen Zimmerman, di Hibbing, Minnesota. Il ragazzo non era un gallese allevato da un circo, ma un ragazzo ebreo figlio di negozianti di elettrodomestici in una piccola città mineraria, in fuga dall’università di Minneapolis dove l’antisemitismo si faceva sentire. Suze tenne il segreto, ma cominciò a chiamarlo "il mio RAZ", quando erano soli.
Poi venne la madre, che si prese le due figlie e se le portò in Italia, destinazione Perugia. Anche e soprattutto Suze, che perdeva tempo con quel ragazzo che buttava via i soldi comprando chitarre e non sarebbe mai andato da nessuna parte. Bob l’affrontò: «Signora, penso che lei abbia un pregiudizio nei miei riguardi». Lei lo guardò fisso negli occhi e rispose: «Fammi un favore: non pensare, quando sono nei paraggi».
Dylan telefonava e scriveva a Suze in continuazione; lei studiava all’Accademia di belle arti. Nel gennaio del 1963, Bob si esibì a Londra, poi accettò un concerto a Roma, al piccolo Folk Studio di via Garibaldi, sul Gianicolo. La data è ricordata dai fans come il primo concerto italiano: erano circa in dieci ad ascoltarlo, seduti al bar. Nessuno sapeva chi fosse. Esaurito un breve re- pertorio, chiamò un taxi e si fece portare a Perugia, dove scoprì che Suze era partita due giorni prima.
Tornarono a vivere insieme ma non era più la stessa cosa. Bob era famoso, Joan Baez era comparsa con lui al festival di Newport; una gravidanza non voluta li gettò nella disperazione e si concluse con un aborto clandestino. Bob la portò a fare un giro in macchina e le confessò: «Oggi sta capitando qualcosa che aspetto da sempre: sto diventando una cosa grossa. E ognuno ne vuole un pezzo». Divenne la voce nervosa del secolo. Da allora ha suonato in diecimila posti, cento cortei all’anno, quasi fosse una pena da scontare. Ha sfiorato il Nobel. Ora il mondo aspetta il suo settantesimo compleanno.
Suze fece un’altra vita. Nel ’64, con un gruppo di studenti, beffò la Cia e riuscì ad arrivare a Cuba passando per Londra e Praga. Era pur sempre comunista, no? Divenne pittrice e organizzatrice teatrale; Perugia le era rimasta nel cuore e ci tornò. Divenne amica di due operai comunisti della Perugina, Francesco Mandarini ed Enzo Bartoccioli, che confezionavano i Baci alla catena di montaggio.
Se parlava di Bob, Enzo si scocciava parecchio. Suze lo sposò e da lui ebbe un figlio. Luca. Si trasferirono a New York e trovarono un vecchio loft dietro a Washington Square, che Enzo, assunto come montatore cinematografico all’Onu, sistemò. Lei lavorava al check-in dell’Alitalia: ciò consentì alla famiglia lunghi viaggi a prezzi ridotti. Nel 2004 scese ancora in strada con un gruppo di teatro, "I Miliardari per Bush", che contestò la convention del Partito repubblicano.
La ragazza della copertina se ne è andata il 24 febbraio scorso, a 67 anni. Era nella casa al Greenwich Village, tra le braccia di Enzo e del figlio Luca, musicista e restauratore di liuti, mestiere imparato a Gubbio. Colpita da un tumore a un polmone, aveva rifiutato la chemio.
Il sindaco di Perugia, Wladimiro Boccali, ha ricordato il legame di Suze con la città. Dylan non ha detto niente, e nessuno gli ha chiesto niente.