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 2011  maggio 12 Giovedì calendario

L’ERA DEL POST-SPOT - È

l’epoca dei post-spot. Un pugno di aziende sta rivoluzionando il linguaggio della pubblicità. Nell’arco di quattro anni è fiorita dal niente una nuova categoria di apparecchi (gli smartphone multi-touch e i nuovi tablet, complessivamente definiti «apparecchi post-pc») e su questi da poco più di 34 mesi sono comparsi sul mercato i nuovi app store, i negozi integrati negli apparecchi che vendono le nuove, compatte applicazioni "tascabili". Il primo della nuova ondata è stato l’app store di Apple, lanciato il 10 giugno del 2008 per iPhone e poi per iPad. A seguire, i "vecchi" portali delle applicazioni hanno cambiato volto, cercando di rinnovarsi, mentre i principali produttori (da Nokia a Samsung, da Google a Rim) hanno realizzato le loro versioni dei negozi per acquistare le app su tutte le altre piattaforme, da Android a BlackBerry fino a Symbian.

Ed è arrivata una nuova generazione di pubblicità, con il linguaggio nuovo e interattivo delle app. «Gli ecosistemi basati su centinaia di migliaia di applicazioni – spiega l’analista di Piper Jaffray, Gene Munster – richiedono che molte delle app siano gratuite o a costi molto contenuti. Senza la pubblicità, mancherebbe il carburante per far fiorire un ecosistema lussureggiante». Il costo medio delle app è infatti 2,30 dollari (1 dollaro e 06 per i giochi, che dominano con quasi 55mila pezzi), quelle gratuite sono il 36,48% del totale, quelle a 99 centesimi di dollaro (79 centesimi di euro) sono il 29,50%, quelle a 1,99 (1,79 centesimi di euro) sono il 12,63 per cento. La sostenibilità per gli sviluppatori di un modello di business in cui una app ogni tre è gratuita e quattro su cinque costano meno di due euro non può basarsi solo sui volumi ma anche sulle inserzioni.

Il punto è che «la pubblicità sui telefonini fino a ora faceva schifo», come ha detto Steve Jobs un anno fa presentando iAd, la soluzione per la pubblicità in mobilità di Apple. Una soluzione che mira, continua Jobs, «a portare interazione oltre che emozione». E costi.

Perché le campagne su iAd di Apple costano care, nonostante siano stati ribassati i prezzi in maniera più che sensibile. Gli spot interattivi nelle app permettono di non lasciare l’app stessa (una cosa molto apprezzata dagli sviluppatori) e possono essere controllate facilmente dagli utenti (che preferiscono poterla spegnere facilmente). I costi sono però alti: una campagna nazionale costava circa 800mila euro (adesso arriva a quasi 550mila), mentre per una internazionale si può superare il milione. Accanto a questi costi, servono alcune decine di migliaia di euro per la realizzazione dell’iAd vero e proprio: Stella Artois, Excite, Perrier, il film «Tron», decine di altri brand di posizionamento "alto" hanno lavorato per produrre pubblicità che sono percepite come all’avanguardia. L’esempio è Perrier, che ha voluto la performer del burlesque Dita Von Teese come protagonista, spendendo un milione di euro «per far capire al nostro pubblico che siamo dei pionieri», spiega l’azienda. L’interazione, un nuovo modo di relazionarsi con il contenuto pubblicitario, sono le novità del linguaggio pubblicitario dell’epoca dei post-spot.

Accanto ad Apple, che dopo gli Usa sta facendo partire i suoi spot anche in Europa, ci sono i concorrenti. Le piattaforme di intermediazione e distribuzione della pubblicità: da Google con i suoi AdWord e AdSense a Medialets, AdMob, AdMarvel, The Deck. Ciascuno investe in un differente approccio, in cui però il ruolo del nuovo linguaggio è determinante. Pubblicità come esperienze immersive, immagini tridimensionali, possibilità di interagire e costruire percorsi interattivi altamente espressivi.

Secondo Darren Roberts, direttore sezione digitale dell’agenzia pubblicitaria Dlkw Lowe la rivoluzione è profonda, i risultati immediati: «È provato che gli utenti interagiscono più a lungo con la pubblicità sotto forma di app grazie al l’esperienza più coinvolgente. Abbiamo visto crescite del 2,2% di click-through, una crescita significativa rispetto ai banner web». La pubblicità Perrier con Dita Von Tese, spiega l’agenzia pubblicitaria francese che l’ha creata, Ogilvy & Mather, «se si compara il click rate è stata 40 volte più efficiente di qualsiasi altro formato digitale». Le persone passano in media due minuti interagendo con la pubblicità, sette volte più che non sui siti di branding o su YouTube, «dove tutto finisce in meno di 30 secondi». Apple è il principale collettore di pubblicità sulla piattaforma iOS e al tempo stesso controlla che i contenuti siano in accordo con le sue linee guida per quanto riguarda il rispetto dei limiti di età, mentre non controlla i contenuti diffusi né l’accesso delle pubblicità di altre piattaforme.

Un "esercito di riserva" intanto si scalda dietro le quinte: sono gli sviluppatori prestati dal mondo della pubblicità, che finora avevano realizzato "app-brochure" per le aziende e che invece adesso possono tornare a unire programmazione, design e creatività direttamente sui loro temi, arricchendo il linguaggio espressivo. Anche per loro, l’epoca del post-spot è già cominciata.