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 2011  maggio 12 Giovedì calendario

DA TIFOSI DIVENNERO BOIA, DA MILITARI TORNARONO ULTRA’

Sono migliaia, e i loro sono atti di guerra. Gli ultrà serbi fanno dell’orgoglio patrio una bandiera e del calcio un pretesto per ribadire che contro la forza la ragione non vale. Buona parte dell’opinione pubblica italiana fa la conoscenza dei tifosi slavi soltanto il 12 ottobre del 2010, quando Italia e Serbia si affrontano a Genova per le qualificazioni ai Campionati europei 2012. La cronaca non è più quella di una partita ma di una "serata di ordinaria follia collettiva" (degli ultra serbi, fortunatamente non imitati da altrettanti italiani o dalla stessa polizia), che impedisce alla manifestazione il suo regolare svolgimento. (Ivan Bogdanov, che ha guidato là rivolta degli ultra, P8 marzo 2011 è stato condannato dal tribunale di Genova a tré anni e tré mesi di reclusione; Nicola Klicovic a tré anni, Danijel Janjic a due anni e otto mesi e Srdan Jovetic a due anni e sei mesi. Resteranno in Italia per scontare la pena, dopodiché verranno espulsi, ndr).
Ciò che si vede a Genova è soltanto il più recente atto di un processo che ha origini lontane e che si rifa al fenomeno hooligans a livello internazionale. Ma con una differenza: in Serbia essere un ultra della Stella Rossa, del Partizan o della Nazionale, si ammanta di altri significati. Il fenomeno ha origine nel periodo che precede il crollo del Muro di Berlino.
Febbraio 1989. Una strana figura, vestita in modo ostentatamente elegante e con un’aria da boss della malavita, ha appena varcato i cancelli dello stadio della Stella Rossa di Belgrado, la più titolata formazione di calcio iugoslava. L’uomo che quella sera entra nella sede della Crvena Zvezda, conosciuta nel mondo come Stella Rossa, si chiama Zeijko Raznatovic, ma è noto come Arkan. Ha 37 anni ed è all’apice della sua carriera criminale. Il suo nome è pronunciato con circospezione, come avviene per i boss della camorra o della ’ndrangheta. La Stella Rossa rappresenta a livello sportivo il potere centrale che da più di 40 anni sottomette, a detta di tanti, le realtà che compongono il mosaico della Federazione. In Jugoslavia da qualche anno è al potere una figura sinistra (ma non di sinistra): Slobodan Milosevic.
È arrivato al vertice politico cavalcando l’onda del nazionalismo estremo e fomentando l’odio etnico. Ha capito che il comunismo è al capolinea e che la Jugoslavia così come l’aveva costruita il maresciallo Tito (una Repubblica federale socialista) non ha futuro.

BATTESIMO DI FUOCO CON LA STELLA ROSSA
Il nuovo Presidente ha in mente una Grande Serbia, egemone su tutte le altre realtà interne. Il calcio è un mezzo utile per arrivare all’obiettivo, e Milosevic punta su Arkan per piegare lo sport, anzi il tifo, ai propri fini. E pensare che Tito non amava i gruppi ultra che erano sorti tra gli anni Cinquanta e Sessanta, anzi li perseguitava perché ne coglieva il valore eversivo. Era stato difficile per lui accorpare, sia pure con la forza, realtà sociali così diverse per lingua, cultura e religione, e non voleva che il calcio potesse far risorgere antichi e non spenti odi etnici. Preoccupazione profetica.
Tito morì nel 1980 e iniziò lo sfaldamento della Federazione. Nel 1989 in Jugoslavia era già presente una malavita pronta a impossessarsi del potere e a usare ogni mezzo per arrivare all’obiettivo. Arkan ha organizzato i tifosi come una milizia militare. Devono diventare soldati, ha stabilito: dovranno fare la guerra. Capelli tagliati, barba sempre fatta, abolizione degli alcolici. E, naturalmente, culto del leader.
Poi arriva il battesimo del fuoco: domenica 13 maggio 1990. La Stella Rossa deve giocare fuori casa contro i rivali croati della Dinamo Zagabria. Quel giorno Arkan mette a frutto mesi di preparazione: trasformare un nutrito manipolo di tifosi in esperti di guerriglia urbana. Da anni il nazionaiismo ha invaso pesantemente la Serbia, ma anche nelle altre realtà della Federazione nessuno crede nella possibilità di mantenere rassetto creato nel 1945. In Slovenia si parla apertamente di indipendenza, in Croazia è salito al potere l’ultranazionalista Franjo Tudman, immagine speculare di Milosevic. Anche Tudman sarà un dittatore e sfrutterà il calcio come strumento di consenso politico non meno del suo "collega" serbo, utilizzando a livello mediatico le gesta della Dinamo Zagabria, la prima squadra della capitale croata.
A Zagabria, i tifosi di Belgrado si scontrano con quelli della squadra di casa. Le armi utilizzate non sono soltanto i pugni, ma anche coltelli, spranghe di ferro e razzi. Una volta dentro lo stadio, gli ultra serbi svellono sedili e li lanciano in campo al grido di «Uccideremo Tudman».
I tifosi della Dinamo reagiscono con lanci di pietre. I teppisti di entrambe le squadre si riversano in campo, ma la polizia - ancora federale, ma a stragrande maggioranza serba - sembra interessarsi soltanto a quelli croati. Il giocatore Zvonimir Boban, capitano della Dinamo, perde le staffe e si avventa contro un poliziotto che sta picchiando un tifoso della sua squadra. Boban sferra un calcione al tutore della legge e quell’immagine fa il giro del mondo.

LA GUERRA INIZIA A BORDO CAMPO
Quella foto diventa il segno di uno sfaldamento interno e di una tensione mai percepita in modo così chiaro. Si ascoltano per la prima volta cori che inneggiano alla morte dello "zingaro serbo" o del "bastardo croato".
Dopo i fatti di Zagabria si ha la rassegnata sensazione che la Jugoslavia sia giunta al capolinea. L’obiettivo di Milosevic è la conquista militare della Croazia e della Bosnia, con la cancellazione delle etnie non serbe. Il progetto genocida, poi, devasta un’intera (ex) nazione fra il 1991 e il 1995, con strascichi di guerra fino al 1999. Le milizie che Arkan organizza e capeggia vengono ribattezzate "le Tigri" e devono compiere le azioni più efferate, prima in Croazia e poi in Bosnia-Erzegovina. Esecuzioni di massa, stupri, razzie, pulizia etnica sono principalmente opera di questi gruppi, coacervo dei peggiori tifosi della Stella Rossa, ma anche del Partizan, di squadre minori, insieme con ergastolani reclutati nei penitenziari di Belgrado.
Al termine della guerra nei Balcani, il calcio continua a essere un importante strumento di consenso e di aggregazione. Arkan diviene proprietario di una società di calcio, l’Obilic. Sfruttando i risultati della squadra, campione di Serbia-Montenegro nella stagione 1997-1998 (si dice che i giocatori avversari fossero tenuti sotto tiro da cecchini appostati sopra le tribune: contro l’Obilic di Arkan era "conveniente" perdere), Arkan tenta la scalata politica, urtando la suscettibilità di Milosevic. Il 15 gennaio 2000, ignoti mandanti confezionano il suo assassinio. Cinque anni dopo, in circostanze ancora una volta poco chiare, anche Milosevic muore, a L’Aja, in Olanda, appena prima di essere giudicato presso il Tribunale penale intemazionale per l’ex Jugoslavia per crimini di guerra.
Scomparsi Arkan e Milosevic, oggi è ancora in piedi la struttura politico-calcistica che i due hanno creato e fortemente voluto. Dunque, gli ultra serbi potrebbero essere utilizzati in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, se la situazione lo richiedesse. I fatti di Genova dell’ottobre 2010 ne sono stati la dimostrazione più chiara anche per il resto dell’Europa.