Armando Torno, Sette 12/5/2011, 12 maggio 2011
LA NUOVA VITA DELLA TIPOGRAFIA SVIZZERA DOVE SI STAMPÒ IL RISORGIMENTO
Capolago, sulle rive del lago di Lugano, c’è un palazzo risalente al 1670 che è un pezzo di storia d’Italia. Anche se nessuno l’ha ricordato negli ultimi mesi durante i festeggiamenti del centocinquantesimo anniversario dell’unità, tra queste mura operò la Tipografia Elvetica. Dai suoi torchi uscirono nell’Ottocento libri di Cattaneo, Gioberti, Guerrazzi, La Farina, Tommaseo, Colletta, Balbo, d’Azeglio, Ferrari (che insegnava senza riscuotere lo stipendio, per indipendenza) e di molti altri non graditi alla censura austriaca.
Del resto, si può dire senza tema di essere smentiti che questa fu di fatto la tipografia clandestina dei patrioti del Risorgimento. In barca i libri e altro materiale venivano portati sulla sponda italiana, territorio del Lombardo-Veneto, e da qui erano diffusi nell’intera penisola.
A Capolago si stampò di tutto, né mancarono opere impegnative, come la vasta Storia delle repubbliche italiane del ginevrino Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, sedici volumi non particolarmente graditi alla Chiesa. Ma, come si suol dire, nel Canton Ticino non c’erano censure o veti che valessero come su altre sponde del lago.
GLI ANNI RUGGENTI
Gli anni ruggenti della Tipografia, che aveva il vantaggio di operare in un luogo non particolarmente distante da Milano, vanno dal 1830 al 1853; la fondò l’esule genovese Alessandro Repetti, fu diretta da Gino Daelli. L’editrice ebbe, tra le altre, la collaborazione di Luigi Dottesio, un mazziniano che si attivò particolarmente per stampare libri, giornali, proclami di patrioti ed esuli. Quando nel 1851 fu arrestato e in seguito giustiziato, le autorità elvetiche – timorose anche per le forti pressioni austriache – decisero che occorreva fare qualcosa. E il momento giunse nel 1853, anno in cui si chiuse la Tipografia.
Questa casa doveva essere distrutta. Abbattuta o forse ristrutturata sino a perdere l’identità sia nella parte antica del 1670 che nelle aggiunte ottocentesche. Non c’era un vincolo che la proteggesse. L’hanno salvata Julia Kessler e Milo Miler, una coppia che la abita e le ha dato una nuova vita. Lui vive in Svizzera dal 1963 ed è di origini toscane (la mamma era parente di Malaparte); la compagna, pur portando il nome delle celebri gemelle ballerine, non è nemmeno una loro cugina e arriva da Amburgo.
Dopo anni di incuria, la coppia decide di acquistare il glorioso edificio, di restaurarlo e di dar vita tra queste mura a una casa d’arte con opere raccolte negli anni. E oggi è possibile visitare questo luogo salvato: non vedrete i torchi o i patrioti che esultano durante la stampa di proclami o altro, ma osserverete mobili e oggetti di arredo “Art nouveau” del belga Gustave Serrurier-Bovy assieme a dipinti e sculture della più recente arte concreta e cinetica. Alle pareti vi attendono lavori di Max Bill, Gottfried Honegger, François Morellet o Guy Vandenbranden. Questa iniziativa si chiuderà il 21 maggio. Ma essa sarà seguita da altre, un paio di volte l’anno.
RAZIONALITÀ E LINEE SEMPLICI
Milo e Julia con la loro casa di piazza Duttweiler a Capolago hanno insomma dato vita a una sorta di esposizione permanente, o meglio a un museo che offre opportunità ai collezionisti. In ogni mostra che organizzeranno non mancheranno i mobili di Serrurier-Bovy accanto a opere che, di volta in volta, rappresenteranno un momento dell’arte moderna. Tutto all’insegna della razionalità, delle linee semplici da riscoprire.
E qual è il filo rosso che lega la Tipografia Elvetica alle essenzialità lignee di un architetto morto nel 1910, che ora i collezionisti cominciano a ricercare, ai quadri di arte concreta o cinetica? È molto semplice, anche se a prima vista si potrebbe non accorgersi della sua presenza: Kessler e Miler amano scoprire e far riscoprire un luogo dimenticato dove si stampavano libri, oppure un architetto che fu un innovatore straordinario o un’arte che merita attenzione e testimonia quei valori che vivono tra razionalità e bellezza nel nostro tempo. Anche una semplice visita in questo edificio salvato di Capolago evoca storie che non è possibile nemmeno elencare. Qui, per fare uno dei tanti possibili esempi, dopo che queste mura ospitarono il clero della diocesi di Como in villeggiatura, si tenne il congresso anarchico del 1891. Un avvenimento che sollevò non poca polvere e infiniti timori. Non a caso, indirizzandola “ai signori Prefetti del Regno”, il direttore dei servizi di polizia del tempo, Ferdinando Ramognini, dà notizia del Congresso anarchico svoltosi a Capolago e ricorda che in esso si era discusso dell’organizzazione. Era stata deliberata la costituzione di sette, otto Federazioni dipendenti da un comitato segreto. Capi e dirigenti del Partito anarchico in Italia sarebbero stati nominati, tra gli altri, Malatesta, Cipriani e Paoletti. Francesco Saverio Merlino, invece, fu incaricato di redigere un manifesto diretto agli anarchici. Obiettivo dell’organizzazione era la promozione di una manifestazione da tenersi il primo maggio 1891, nella quale era ammessa — sottolinea ancora l’alto esponente della polizia — la libera iniziativa e l’azione individuale, ovvero incendi, pugnalate, dinamite, distruzione di edifici pubblici e di siti ferroviari. Inoltre in questo documento, noto come “Fondo Prefettura Busta 3308”, sua eccellenza ricorda che era giustificato perfino il furto, come azione contro i capitalisti, per sostenere le spese organizzative.
Julia e Milo ricevono tre giorni la settimana, dal giovedì al sabato (14-19). Tra i mobili di Serrurier-Bovy e lavori di arte concreta e cinetica ci saranno delle finestre da cui guardare il lago. Anche se il paesaggio è leggermente mutato dai tempi della Tipografia Elvetica, non dimenticatevi che da lì si seguiva con l’occhio il procedere della barca con i libri. Dove c’erano le idee nuove per “fare l’Italia”.