Joaquín Estefanía, El País - Internazionale 13/5/2011, 13 maggio 2011
CONTRO MARIO DRAGHI
Il 16 maggio i ministri dell’economia e delle finanze dei paesi
dell’Unione europea si incontreranno al vertice dell’Ecofin di
Bruxelles. Parleranno della nomina del nuovo presidente della Banca centrale europea (Bce), che prenderà il posto del francese Jean-Claude Trichet, il cui mandato scadrà a fine ottobre. Se tutto andrà come previsto (soprattutto, se la cancelliera tedesca Angela Merkel avrà la contropartita che chiede), dal consiglio europeo del 24 giugno uscirà il nome dell’italiano Mario Draghi come nuovo responsabile della politica monetaria europea.
Un italiano a capo dell’ultraortodossa Bce? I rappresentanti di due dei paesi con il maggior indebitamento dell’Unione (il vicepresidente della Bce è il portoghese Vítor Constâncio) ai vertici dell’istituzione che vigila sul controllo dei prezzi?
Il punto non è questo: l’importante non è la nazionalità dei candidati ma la loro ideologia. Nonostante le velleità keynesiane della sua giovinezza, Mario Draghi – che finora è stato governatore della Banca d’Italia e presidente del consiglio di stabilità finanziaria (Fbs) – si prepara da tutta una vita per la massima carica della Bce. Per fugare ogni dubbio, negli ultimi mesi il governatore ha moltiplicato i suoi interventi a sostegno dell’aumento dei tassi di interesse per tenere a freno l’inflazione, nonostante si tratti di una misura controproducente per i paesi più indietro nella ripresa, come la stessa Italia.
Se l’opposizione di Angela Merkel – che ha dovuto rinunciare al suo candidato, l’ex presidente del Bundesbank Alex Weber – può essere vinta garantendo alla cancelliera tedesca alcuni posti chiave per il governo della moneta unica (come la guida del consiglio economico e finanziario dell’Unione europea e del consiglio di stabilità finanziaria), c’è un altro punto debole nella candidatura di Draghi, che sicuramente sarà tirato in ballo dai critici della Bce. Dal 2002 al 2005 Draghi è stato vicepresidente internazionale di Goldman Sachs.
In quel periodo la banca statunitense di investimenti ha aiutato il governo della Grecia a nascondere – attraverso complessi meccanismi finanziari – la reale portata del deficit e del debito pubblico all’origine dell’attuale crisi dell’economia nazionale. Goldman Sachs ha dovuto diffondere un comunicato per spiegare che Draghi non lavorava con i governi ma con le imprese, e che quindi non ha niente a che vedere con quella storia.
Al di là di questo, c’è un altro aspetto da sottolineare: se Draghi dovesse arrivare alla presidenza della Bce, un altro uomo di Goldman Sachs entrerà nella struttura di governance di una parte importante dell’economia mondiale. Come è successo negli Stati Uniti, dove per un po’ di tempo la condizione per diventare segretario del tesoro o consulente economico del pre-
sidente (sia democratico sia repubblicano) è stata quella di aver lavorato per Goldman Sachs.