Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 12/05/2011, 12 maggio 2011
I FRATELLI MUSSOLINI LA POLITICA E GLI AFFETTI
In un articolo pubblicato sul Popolo d’Italia, del 13 dicembre 1924, Arnaldo Mussolini scriveva: «Checché ne dicano gli avversari, il delitto Matteotti non si inserisce nella storia e nel Regime, ma è un episodio truce, doloroso, che prima di colpire il socialismo ha colpito il Fascismo!» . Il senso di questa affermazione anticipava, in pratica, quello che sarebbe poi divenuto il ben più famoso discorso pronunciato dal fratello Benito il 3 gennaio successivo e che avrebbe dato il via alla dittatura fascista. Ed è una conferma di quanto non solo fossero in simbiosi politica i due fratelli Mussolini, ma di come Arnaldo fosse anche «organico» ai successi del regime. Al punto che, in una raccolta di suoi scritti, viene sottolineato «il contributo vitale» che l’allora direttore del Popolo d’Italia diede alla «conciliazione» con la Chiesa cattolica realizzatasi poi coi Patti Lateranensi del 1929. Ma quale sarebbe potuta essere l’influenza di Arnaldo sulle scelte future del fratello maggiore se non fosse prematuramente scomparso nel 1931?
Mario Alberti
Noceto (Pr)
Caro Alberti, Arnaldo Mussolini morì il 21 dicembre 1931 all’età di 46 anni. Aveva diretto il Popolo d’Italia dal giorno in cui Benito era diventato presidente del Consiglio ed era stato da allora il braccio milanese del fratello maggiore, l’uomo che teneva i contatti con gli ambienti economici e sorvegliava la macchina del partito in una città dove il fascismo era nato, ma in cui il dissenso anti-fascista non era mai scomparso. Assomigliava a Benito, ma era miope e non aveva né lo sguardo penetrante né i tratti marziali con cui il capo del governo aveva costruito la sua icona. Era stato maestro, come il fratello, ed era un buon giornalista politico, capace di argomentare senza ricorrere all’irruenza polemica che era la chiave, spesso fin troppo usata, del capo del governo. Non aveva combattuto nella Grande guerra, aveva fatto politica nelle retrovie piuttosto che in prima linea e non aveva mai accettato l’invito a candidarsi nelle elezioni nazionali. Sotto la sua direzione Il Popolo d’Italia evitò i trionfali inni al Duce che sarebbero diventati il fastidioso ritornello della stampa fascista negli anni seguenti. Quando uno dei collaboratori paragonava il Duce a Cesare o lo promuoveva «principe dei filosofi» , Arnaldo lo richiamava all’ordine ricordando che i toni apologetici, in un giornale che apparteneva al destinatario di quegli elogi, non erano opportuni. Mussolini fu duramente colpito dalla sua improvvisa scomparsa e sfogò il dolore, come avrebbe fatto qualche anno dopo per la morte del figlio Bruno, scrivendo un breve libro, «Vita di Arnaldo» , che apparve nel 1932. Sappiamo grazie a quelle pagine che Benito telefonava ad Arnaldo ogni sera per commentare l’ultima edizione del Popolo d’Italia, preparare quella del giorno seguente, scambiare notizie. Alla domanda implicita nella sua lettera — se la morte di Arnaldo abbia avuto una influenza negativa sulla politica di Mussolini — rispondo, caro Alberti, che il culto della personalità e il trionfalismo del regime negli anni seguenti dipendono, secondo Renzo De Felice, da altri fattori. È vero tuttavia, sempre secondo De Felice, che la morte di Arnaldo «rese pressoché totale la solitudine umana di Mussolini e contribuì ad esasperare la sua tendenza psicologica a diffidare di tutti, a sentirsi circondato da collaboratori fragili e insicuri e, quindi, a considerarsi sempre più il motore e il controllore di tutto, il capo che doveva tutto fare e tutto accentrare» .
Sergio Romano