Fabrizio D’Esposito, il Fatto Quotidiano 12/5/2011, 12 maggio 2011
CLASSE DIGERENTE
Pezzo di merda, cesso, troia, cagna, vajassa, ricchione, frocio, checca, stronzo, pedofilo, vaffanculo, culattone, cornuto, palle di velluto e no, cazzo, fica, handicappata di merda, orco dio, che le venga un cancro, bocchino, bocchinari, negro e la sua variante bingo-bongo, sono porci questi romani, la Lega ce l’ha sempre duro, fuori dalle palle (riferito agli immigrati), munnezza, pirla, coglioni.
AI TEMPI del pentapartito Dc-Psi-Pri-Pli-Psdi, la categoria del turpiloquio offrì l’immagine più cruda della politica di allora con la famosa frase del socialista Rino Formica: “La politica è sangue e merda”. Nella Seconda Repubblica, invece, l’insulto gridato o mimato a gesti è diventato la politica stessa. Dal teatrino al trivio. Al netto dei verbali del bunga bunga di Arcore in cui Berlusconi ha “il culo flaccido” ed è un “vecchio porco che fa regali più brutti delle catenine da cesso”, il catalogo delle contumelie di Palazzo è vastissimo. Un florilegio arricchitosi grazie ai continui contributi dei due padroni della maggioranza, il Cavaliere e il Senatùr, che anche in questi giorni hanno impreziosito la raccolta. Il premier ha detto che la sinistra “puzza, si lava poco ed è sempre incazzata”, e ha espresso il desiderio di usare le procure come “discariche per i rifiuti”. Una volta quelli di sinistra erano solo “coglioni”, oggi “coglioni che puzzano”. Da par suo Bossi ha chiamato Fini “stronzo” e quanto ai pm non ha voluto generalizzare: “Non sono tutti stronzi”. La volgarità al potere, roba da sessantanove. Del resto il doppio senso a sfondo sessuale ricorre spesso nel catalogo di Palazzo. E nel mazzo (non come parolaccia) vanno inserite le barzellette a luci rosse di B. (“ne conosco oltre 2 mi-la”), i rutti leghisti e gli insulti mimati: il dito medio, le corna, il gesto dell’ombrello, le mani a formare un cerchio che vuol dire “ti faccio un culo così”.
Il Parlamento come marciapiede ha una sequenza imperdibile nella seduta del 14 dicembre scorso, quando il premier ha incassato la fiducia grazie ai Responsabili. Prima scena: Catia Polidori, oggi sottosegretaria, abbandona Fini e vota sì. Dai banchi di Fli, Giorgio Conte grida: “Troia”. Seconda: Antonello Iannarilli del Pdl passa sotto la presidenza e non si trattiene, rivolto a Fini: “Pezzo di merda”. Poi, nell’euforia della vittoria finale, sale sulla poltrona e fa il gesto dell’ombrello. Sempre Fini, il destinatario. Il presidente della Camera è uno dei bersagli prediletti del turpiloquio di centrodestra. Nella baraonda del processo breve il ministro Ignazio La Russa gli ha dedicato pubblicamente un “vaffanculo”. Nel dibattito sull’ultima legge ad personam di B. si è distinto pure il leghista Massimo Polledri che a Ileana Argentin, deputata disabile del Pd, ha detto: “Handicappata di merda”.
INSIEME CON il celtico-bergamasco Roberto Calderoli (che vanta un’ampia casistica sui gay, culminata con un eloquente “qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni”), il siculo La Russa contende al duo Berlusconi-Bossi il primato del turpiloquio. Contestato un paio di volte anche all’estero, il ministro della Difesa ha esportato la volgarità made in Italy a New York (“Sei un pedofilo”) e a Barcellona (“Spero che le venga un cancro”).
A differenza del Senatùr, truce nella sua rozzezza, il Cavaliere tenta sempre di stemperare nel-l’ironia il turpiloquio. A proposito del finiano Bocchino: “Pensavo fosse un punto del programma , non un deputato”. Una variante sul tema è stata poi eseguita dall’ex sottosegretario Nicola Cosentino, inquisito per camorra, che in una telefonata agli atti dell’inchiesta sulla P3 divide il Pdl della Campania in “bocchiniani e bocchinari”, riferendosi a Bocchino e Mara Carfagna. Una coppia che nel Pdl ha generato un’altra rissa da ricordare. Quando cioè Alessandra Mussolini fotografò i due insieme e lamentò il tradimento di lei, soprannominata “Mara Hari”. La Carfagna rispose: “La Mussolini è una vajassa”, epiteto del dialetto napoletano che indica una donna del basso incline al grido e al pettegolezzo. Negli stessi giorni Chi di Signorini rivelò che a Milano una ministra bruna (Gelmini) incrociando una collega dai capelli rossi (Brambilla) aveva sibilato: “Cagna”. Nemmeno le donne si salvano dalla classe digerente del centrodestra.