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 2011  maggio 11 Mercoledì calendario

Viagra, Pepsi e Nesquik Il nemico dell’America vittima dei vizi d’America - «Gli americani amano la Pepsi Cola, noi la morte»

Viagra, Pepsi e Nesquik Il nemico dell’America vittima dei vizi d’America - «Gli americani amano la Pepsi Cola, noi la morte». Se sono ancora vivi si guardano bene dal ripeterlo. La frase, pronunciata da alcuni tale­bani dopo l’11 settembre, fa il giro del mondo, diventa lo slogan simbolo dello spirito di sacrificio dei guerrieri di Al Qaida. Vagli ora a spiega­re che il loro capo si riempi­va il frigo di Pepsi, faceva co­lazione con il Nesquik e dige­riva la cena tracannando Co­ca Cola. Roba da non creder­ci se a raccontarla non ci fos­se Anjum Qaisar, il pizzica­gnolo di fiducia di Akbar e Rashid Khan, gli scagnozzi pakistani che ad Abbotta­bad facevano spesa per il grande capo con moglie e prole. Certo un po’ risentiti lo saranno anche i figli. Al­meno quelli come Omar, che non hanno seguito papà Bin nell’ultimo rifugio. Nel libro scritto a quattro mani con mamma Najwa, prima moglie di Osama, Omar descrive un padre se­vero e austero, una spartano da salotto pronto a distribui­re scappellotti a chiunque chiedesse bibite gassate, ac­qua di frigo o stanze con aria condizionata. Per il povero Omar, sofferente di asma, eran guai solo ad implorare gli aerosol prescrittigli da un medico di famiglia ancora asservito alle credenze occi­dentali. Vagli ora a racconta­re che l’inflessibile papà si tingeva la barba prima di sproloquiare al mondo, ri­guardava le proprie registra­zioni televisive con la parte­cipazione di un narciso a 16 noni e brindava a sciroppo d’avena, meglio conosciuto come viagra del contadino, prima di bussar al talamo della moglie bambina. Del resto la carne è debole. E nulla lo dimostra meglio dei vizietti dell’inflessibile capo di Al Qaida. Lui l’abitu­dine di predicar bene e raz­zolar male la coltiva fin dai tempi delle vacanze di fami­glia nella Svezia del 1971. Bin, allora, ha solo 13 anni eppure la Polaroid di una sfa­villante Chevrolet rosa con sopra un’allegra tribù di zaz­zere e camicie infiorate ricor­da più l’istantanea di una band in fuga dall’isola di Wight che non l’immagine di una morigerata famiglia saudita. Tra ideali e vita rea­le di un capo che predica la purezza dell’era del Profeta e la sacra castità salafita c’è da sempre, insomma, un bell’oceano. E i fiumi di Co­ca, Pepsi e Nesquik passati dal covo di Abbottabad non fanno che alimentarlo. Gli americani si consoli­no. Contribuendo al fattura­to di Pepsi e Coca, Mister Ter­rore regalava, in fondo, un po’ d’ossigeno alle casse di un’America costretta a dila­pidare per spedirlo a perpe­tuo riposo più di 3mila mi­liardi in 15 anni. Ma l’amore per le bevande simbolo del degrado occidentale è poca cosa rispetto all’insana pas­sione per Whitney Houston. Pur di portarsi a letto quell’ icona della degenerata ed eretica musica occidentale, il paladino dell’islam era pronto a giocarsi le proprie fortune. E a farle secco il ma­rito. A ricordarcelo in «Dia­rio di una ragazza perduta» è Kola Boof, una poetessa su­danese orgogliosa di esser stata la schiava da letto di un «caliente» Osama e di averne scoper­to, tra sussurri e baci, le più incon­fessabili bramo­sie sessuali. Bra­mosie perniciose visto che Bin era pronto a ordinare l’uccisione di Bob­by Brown, ignaro ed innocuo mari­to di Whitney. Sal­vo poi consolarla con una dote mi­liardaria, conver­tirla e prenderse­la in sposa. Che sulla coerenza del signor «Odio l’Occidente» non ci fosse da scom­mettere l’aveva­no capito anche i tifosi dell’Arsenal quando - a Torri cadute - scopriro­no che il capo di Al Qaida era uno sfegatato frequen­tatore di Highbu­ry, vecchio stadio santuario della squadra londine­se. Era successo negli anni 90 quando l’appren­dista sceicco in trasferta londine­se passava le gior­nate nelle tribune della squa­dra preferita. Del resto per quattro calci al pallone il de­voto Bin Laden calpestava persino il Corano. Succede­va all’università quando nel dopo partita, ricordano ami­ci e compagni, distribuiva merendine persino durante il sacro digiuno del Rama­dan. Ma che sarai mai l’inco­erenza? A cancellarne il ri­cordo basta, in fondo, una bella canna di marijuana. Quella coltivata a siepe, rac­conta Nic Robertson inviato della Cnn ad Abbottabad, tutt’intorno al giardino del «signore del terrore». E del fumo.