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 2011  maggio 10 Martedì calendario

Un po’ affarista, un po’ poeta Ecco Napoleone visto da Arthur Conan Doyle - Nel 1897, Arthur Co­nan Doyle compiva i dieci anni trascorsi in ostaggio di Sher­lock Holmes

Un po’ affarista, un po’ poeta Ecco Napoleone visto da Arthur Conan Doyle - Nel 1897, Arthur Co­nan Doyle compiva i dieci anni trascorsi in ostaggio di Sher­lock Holmes. Il tra­volgente successo del detective domiciliato al 221B di Baker Street, fin dall’inizio, cioè da A Study in Scarlet , aveva confi­nato il suo creatore al ruolo di scri­ba. Per i lettori, era come se il buon Arthur, ridotto al ruolo di dottor Watson in carne, ossa e ca­lamaio, si limitasse a metter nero su bianco la cronaca di quanto ac­caduto veramente al loro eroe. In­somma, il «figlio» aveva ucciso il «padre». Ma il «padre» ogni tanto si ribellava, e continuerà a farlo fi­no a quando avrà la forza di impu­gnare la penna. La sua vera passio­ne, più che le inchieste polizie­sche, era infatti il romanzo stori­co: ne scrisse a palate e in quel 1897, per esempio, fece un bel sal­to a ritroso, scomodando un perso­naggino mica da ridere: Napoleo­ne Bonaparte. Uncle Bernac. A Me­mory of Empire (proposto ora da Donzelli, a oltre settant’anni di di­stanza dall’edizione Salani - pagg. 190, euro 22, traduzione di Riccar­do Duranti- con il titolo Lo zio Ber­nac alla corte di Napoleone ) è una vicenda fogliettonesca in cui com­paiono alcuni capisaldi del gene­re: l’amore contrastato, il crimina­le (apparentemente) imprendibi­­le, il buono che si rivela cattivo e viceversa, la lettera rivelatrice... E a un certo punto compare an­che lui, il piccolo duce còrso, del quale sono tratteggiati il carattere collerico e focoso, le manie di grandezza, le abitudini alimenta­ri, i tic, la brusca galanteria. Siamo nel 1805, e il 36enne Napoleone ha già messo un bel po’ di fieno in cascina, campagna d’Italia, cam­pagna d’Africa, autoincoronazio­ne («ho trovato la corona di Fran­cia per terra e l’ho tirata su con la punta della mia spada», dice) quando incontra il protagonista del libro, il giovane Louis de Laval, che ha da poco rimesso piede sul suolo francese dopo 13 anni di esi­lio in Inghilterra. Nel mirino di Sua Maestà c’è Londra, e per que­sto ha spostato il quartier genera­le a Boulogne, in Normandia. Da parte sua il baldo giovane, an­sioso di recuperare il tempo perduto, vuol mettersi al suo servi­zio, nel nome dei propri nobili nata­li e della fidanza­ta Eugénie de Choiseul, rima­sta a struggersi fra le brume del Kent. Ma prima di essere presentato al­la militaresca corte del colossale accampa­mento, Louis ha dovuto assag­g­iare la rabbia e l’orgoglio giacobi­ni, incarnati da un suo coetaneo tanto bello quanto idealista e da un energumeno che a momenti gli spaccava con due dita l’osso del collo. Dopo avercelo infilato per mezzo di una lettera che richia­mava il nipote in patria, a tirarlo fuori dai guai è stato lo zio Bernac del titolo, un tipo invero poco rac­comandabile, visto che, grazie al­la fuga dei de Laval, ha messo il cappello sui loro possedimenti di Grosbois. «L’anima di un poeta e la mente d’un uomo d’affari è la combina­zione ideale che può rendere un uomo un pericolo per il mondo», fa pensare Conan Doyle all’io nar­rante Louis dopo la presa di con­tatto con quello che era ormai il dominatore dell’Europa continen­tale. E qui, soltanto per un attimo, il romanziere cede il passo allo sto­rico. Per il resto il racconto, ingen­tilito dalle presenze della cugina Sibylle, angariata dal padre-pa­drone Bernac, e della gelosa ma re­alista imperatrice Giuseppina, ha un finale che potremmo definire, in anglo-francese... demi-happy . Ai fan di Conan Doyle farà inoltre piacere ritrovare nel libro, come cicerone dell’acerbo Louis, una vecchia conoscenza: il brigadiere ussaro Etienne Gérard che, dopo l’esordio del 1884, fino al 1910 farà periodicamente capolino nella va­stissima produzione dello scritto­re. Gaudente, intrepido, fascino­so ed aitante, Gérard è quanto di più diverso si possa immaginare rispetto al glaciale e razionale Sherlock Holmes. Del resto, è francese, e ogni fran­cese, per un suddito di un’altra Maestà, quella Britannica, è sem­pre un guascone.