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 2011  maggio 12 Giovedì calendario

«QUESTA PALLA È AVVELENATA»

“Pedro” è stanco di scrollar­si dalle scarpe il fango del “dio pallone”. Pedro è Car­lo Petrini, bomber anni ’70 di Genoa, Milan e Roma (ma anche Torino e Bo­logna). Negli ultimi quarant’anni nell’«omertoso mondo del calcio» (ci­tazione del giudice Raffaele Guari­niello) è stato l’unico e sottolineiamo l’unico, calciatore che ha denunciato l’esistenza di una “palla avvelenata”, dal doping e dall’abuso di farmaci, che si presume abbia causato la mor­te di decine di suoi colleghi. Negli ul­timi dieci anni per rendere ancora più forte la sua testimonianza sul “calcio­dopato” ha pubblicato anche una mezza dozzina di libri e altri vorreb­be scriverne, ma non può. «Sono qua­si cieco per colpa di un tumore al cer­vello. Guardo la tv e vedo un buco bianco. Il calcio ormai mi dà la nau­sea. Cosa è diventato? Uno schifo... Qualche partita la seguo, ma solo se me le racconta mia moglie Adriana». La donna che ha sposato in seconde nozze e che lo accudisce: «Senza di lei, campare con i 1.200 euro della pensione di calciatore vorrebbe dire fare la fine del barbone, come è suc­cesso a tanti miei colleghi».

Molti suoi colleghi, figurine Panini degli anni 70-’80, si sono ammalati e altri sono addirittura morti. Colpa di quelle sostanze che prendevate?

Io sono la testimonianza vivente del “calcio malato”, a causa di quelle por­cherie che ci hanno dato. Sono stati scorretti, ci hanno riempito di anfe­tamine, micoren, cortisone... Il dot­tor Oliva a Milano ci dava delle fiale che non avevano neppure l’etichetta.

La vostra è stata la prima “genera­zione dopata”?

Negli anni ’70, negli spogliatoi sono cominciate a volare le iniezioni come fossero freccette. Ce le faceva il mas­saggiatore, incurante delle conse­guenze. Noi, giovani e ignoranti, man­davamo giù tutto: flebo, pasticche, fla­coni che restano un mistero... Subi­vamo passivi, per non perdere lo sti­pendio e ancora peggio, per salvare la squadra dalla retrocessione. Che stu­pidi... Dal presidente all’allenatore, tutti sapevano di quelle pratiche as­surde fatte sulla pelle dei ragazzi, ma tutti hanno taciuto.

Calcio, uguale omertà, allora è dav­vero un’equazione reale?

In questi ultimi dieci anni da quando ho pubblicato Nel fango del dio pal­lone,

ho avuto la conferma a una mia certezza storica: puoi parlare male di qualsiasi cosa in Italia, ma non pro­vare a criticare il “sistema calcio”. Se poi ti azzardi a dichiarare che si è fat­to un uso scellerato di farmaci e di so­stanze dopanti, diventi un appestato, ti isolano.

Perché solo Petrini ha parlato e con­tinua a denunciare e gli altri calcia­tori si cuciono la bocca?

Nessuno dei miei colleghi ha interes­se a mettersi contro un mondo dal quale magari dipende ancora econo­micamente. Un ex calciatore di Serie A che giocava ai miei tempi, un gior­no mi ha detto indignato: “Carlo, io i tuoi libri non li ho letti, perché hai scritto delle cose che dovevano rima­nere sepolte negli spogliatoi e non di­ventare di dominio pubblico”. Ho pro­vato pena per lui... Io del doping nel calcio ho raccontato tutto quello che ho subìto e visto e nessuno mi ha que­relato. Vuol dire che era tutto vero. Quindi, ho descritto una realtà che è drammatica.

Ma se avete preso tutte quelle so­stanze, come mai i casi di positivi al­l’antidoping sono da sempre così ra­ri nel calcio?

Perchè i controlli, da sempre, sono una farsa. Le “perette” con le urine pulite scambiate con il compagno di squadra sorteggiato al­l’antidoping che poteva incappare nella squalifica, sono una pratica vec­chissima che si è tramandata e credo con successo.

Nel calcio attuale circola ancora il do­ping?

«Io non ho contatti con i calciatori di adesso, ma il giorno che qualcuno di loro avrà la bontà di spiegarmi come fanno a disputare 70 partite all’anno, giocando a quei ritmi infernali e sen­za prendere niente, allora sarò disposto a dirgli: scusate mi sono sbagliato. Ma fi­no a quel giorno io resto convinto che la verità è un’altra....

E quale sarebbe la verità?

Che fino ad oggi l’unico sport in cui ho visto Carabinieri e Finanza entra­re nelle camere d’albergo degli atleti e perquisirle alla ricerca delle sostan­ze vietate è stato solo il ciclismo. Sa­rei curioso di vedere cosa accadreb­be se quegli stessi agenti un giorno entrassero negli alberghi e gli spo­gliatoi delle squadre di calcio... Ma non può accadere, non c’è parità di trattamento. Il calcio è un regno a par­te, gestito e finanziato da intoccabili.

Un regno in cui circola tanto denaro e dove dicono sia sempre più diffusa la cocaina.

Fino alla metà degli anni ’80 non esi­stevano calciatori cocainomani, poi con Maradona è venuta fuori questa tendenza e non si è più interrotta. Or­mai all’antidoping gli unici calciatori trovati positivi sono quelli alla cocai­na. La cosa che fa sorridere è che si tratta sempre di qualche mezza figu­ra che sistematicamente racconta di averla sniffata a una festa. Ma quelli che consumano la “coca” nel calcio sono molti di più dei pochi casi di squalificati.

Sostanze dopanti, abuso di farmaci, cocaina: un cocktail che può aver causato molte di quelle 400 morti so­spette dagli anni ’70 a oggi?

Recentemente alla tv tedesca ho det­to che mi considero una “vittima del calcio italiano”, il quale ha causato al­meno 200 morti. Quelli hanno frain­teso pensando che avessi detto che nel calcio italiano ci sono stati 200 morti di Sla (Sclerosi laterale amio­trofica). Risultato: l’intervista non è stata mai trasmessa, in Germania te­mevano che gli avessi rivelato i nu­meri di una nuova ecatombe calci­stica.

A proposito di Sla, che idea si è fatta dei tanti calciatori che si sono am­malati di questo Morbo?

Non sopporto quelli che apriori han­no stabilito che il calcio non c’entra niente con la Sla. Signorini, Borgono­vo, il povero Agatino Russo che sta a Terni e non se lo calcola nessuno, è gente che ha fatto solo questo di me­stiere: tutta la vita a correre aventi e in­dietro su un campo di calcio. E allo­ra, dove se lo sarebbero preso questo Morbo?

Tanti dubbi e troppi sospetti, ma qual è stata la morte di un collega che più l’ha colpita?

Quella di Bruno Beatrice. Anche io ho fatto dei cicli di Roentgen quando e­ro al Milan, ma al povero Beatrice al­la Fiorentina, solo per curargli una pu­balgia e ributtarlo in campo, lo sotto­posero a quasi cento sedute di quei raggi in un mese. È come se gli aves­sero lanciato delle bombe atomiche nell’organismo. Bruno è morto a 39 anni e la sua leucemia è scientifica­mente dimostrato che è avvenuta per colpa di quelle pratiche assassine.

Ha fatto bene dunque la famiglia Beatrice a fondare l’Associazione vit­time del doping.

«I figli e la moglie di Beatrice, sono le uniche persone che con me hanno a­vuto il coraggio di esporsi e infatti pa­gano anche loro. Nessuno si rivolge all’Associazione, quando invece sa­rebbe un atto di grande civiltà parla­re e denunciare, anche per rispetto di tutti quei ragazzi che sono morti in­giustamente. Chi ha sbagliato a darci quella roba sarebbe giusto che pa­gasse. Ma se un giorno questo doves­se accadere, avrei il dubbio di trovar­mi ancora nel nostro Paese. Dove ri­cordatevi: parlate male di tutto e tut­ti, ma mai del “sistema calcio”».