Stefano Vecchia, Avvenire 12/5/2011, 12 maggio 2011
GANGE SACRO E MORIBONDO
Gli indù credono che un sorso dell’acqua del Gange bevuto negli ultimi istanti di vita apra direttamente le porte alla liberazione dalle catene terrene. Oggi la carica di colibatteri nell’acqua del maggiore fiume dell’India è tale da non consentire in teoria, in buona parte del suo corso, nemmeno il contatto umano. Se un tempo, che si perde nel mito, il Gange era ritenuto una divinità in sé (la dea Ganga), oggi è di fatto una immensa cloaca dove si scaricano rifiuti industriali e organici di quasi la metà della popolazione dell’India. Così, di inquinamento il fiume rischia di morire; e i suoi miti con lui.
Prima di arrivare a Ganga Sagar, dove apre il suo immenso delta, il Gange corre per oltre 2.500 chilometri attraverso una delle regioni più densamente abitate del pianeta, in aree che costituiscono il cuore della cultura, della tradizione ma anche dell’agricoltura e dell’industria dell’India. Una regione, infine, dove si trovano le sue città più popolose, se si esclude Mumbay.
Secondo il Geological Survey of India, tra il 1935 e il 1996 il ghiacciaio di Gangotri si è ritirato di una media di 18,80 metri all’anno. Una regressione che ha rallentato successivamente fino a 12 metri nel 2000-2005, per mostrare successivamente una nuova tendenza a crescere.
Qui, sul fronte di questo ghiacciaio in recessione a 3.800 metri di altitudine, in un luogo selvaggio, da millenni meta di pellegrini ma soprattutto di asceti chiamato Gaumukh, nasce il Gange. Nella parte iniziale e fino alla confluenza con il suo primo affluente, l’Alaknanda, ha il nome di Bhagirati, sovrano mitologico. Secondo le antiche scritture, re Bhagirati dovette darsi a severe pratiche devozionali e per lungo tempo affinché la dea Gange (Ganga, nelle lingue indiane) discendesse dal cielo a beneficiare la Terra. Quando questo successe, l’intero universo conosciuto rischiò di esserne devastato, così il dio Shiva accolse la corrente nei suoi capelli frenandone la corsa. Simbolicamente, i capelli di Shiva sono le dense foreste e le rocce dell’Himalaya, ma oggi le montagne presentano segni di calvizie incipiente e le acque da contenere sono una piccola frazione di un tempo. Lo sono per cause naturali e per scelte umane.
Le modificazioni dell’intera valle del Bhagirathi sono state immense, le foreste sono state tagliate e l’inquinamento provocato dai lavori per la continua costruzione di nuovi sbarramenti e bacini si è aggiunta ai danni conseguenti al cambiamento del corso del fiume in parte incanalato in condotte. Tra l’altro, dighe e bacini di raccolta sembrano ignorare il fatto che questa è una regione ad alto rischio sismico. La diga di Tehri, sul Bhagirathi, è per molti il più grande disastro ecologico della storia dell’India. Anche i principali affluenti del Gange sono stati sbarrati e le loro acque deviate per usi produttivi. La diga di Charo, sull’alto corso del Yamuna, è un ulteriore, rilevante esempio di devastazione ambientale che mette a rischio le popolazioni. Queste opere, dicono gli ambientalisti, potevano avere un senso quando il paese, raggiunta una difficile indipendenza, 60 anni fa si trovò a fare i conti con una crescente fame di energia, ma ora le fonti alternative e rinnovabili si sono moltiplicate. Pochi credono che abbiano davvero un senso per lo sviluppo del paese, mentre i danni sono evidenti.
Dopo 300 chilometri di corso e ormai con il nome di Ganga, il fiume entra nella pianura a Haridwar, una delle città più ’sante’ dell’India. Nel suo scorrere verso est, il Gange riceve le acque di fiumi imponenti e di un gran numero di affluenti. Poco dopo la confluenza con il Yamuna, presso la città di Allahabad – meta del più partecipato pellegrinaggio del pianeta, soprattutto nella scadenza dei cicli di 12 anni – la portata d’acqua arriva a 130 miliardi di metri cubi. Una pressione demografica crescente pone a rischio sempre maggiore il corso del fiume, affetto ormai cronicamente dall’inquinamento, ma – accusano ambientalisti e critici delle politiche di sviluppo ufficiali – il problema principale è che il governo ha finora mancato di fornire il grande fiume di infrastrutture anti-inquinamento e impianti per la purificazione delle acque che dalle industrie, dai villaggi e dalle città lungo il corso si scaricano direttamente nel suo ampio bacino.
La piana gangetica è conseguenza del deposito dei sedimenti trasportati dal corso del Gange e dei suoi affluenti, rilasciati durante le piene annuali. La quantità di tali depositi varia non solo secondo le stagioni, ma anche giorno per giorno. Il fattore va attentamente valutato, analizzando la situazione dell’inquinamento e nella gestione delle acque. Un rilascio immediato, infatti, provoca la concentrazione di elementi inquinanti. Un rapporto di esperti valutava tre anni fa che, nonostante la conta dei colibatteri fosse scesa a Varanasi (Benares) a 81.714 Mpn/100 ml, per effetto del piano anti-inquinamento (Ganga Action Plan) in vigore dal 1985, la densità restava enorme, rispetto a quella massima di 500 Mpn/100 ml che consente la balneazione. Indagini su campioni di acqua prelevati dal 1986 al 2008 nelle 16 stazioni di rilevamento da Uttarkashi al delta hanno mostrato come la qualità dell’acqua, in termini di ossigeno disciolto, richiesta biologica di ossigeno e presenza di colibatteri, sia oltre i limiti consentiti. In particolare, se la presenza di colibatteri è cresciuta da 400 a 1.600 Mpn/100 ml tra il 2003 e il 2008 a Haridwar, a Uluberia, nel delta, la concentrazione raggiungeva nel 2008 la sorprendente quantità di 500 mila Mpn/100 ml!