Diego Gabutti, ItaliaOggi 12/5/2011, 12 maggio 2011
L’era del pentitismo è la stagione giurassica del diritto - Secondo Mauro Mellini, parlamentare radicale negli anni settanta e ottanta, più tardi membro del Consiglio superiore della magistratura, oggi animatore del sito web www
L’era del pentitismo è la stagione giurassica del diritto - Secondo Mauro Mellini, parlamentare radicale negli anni settanta e ottanta, più tardi membro del Consiglio superiore della magistratura, oggi animatore del sito web www.giustiziagiusta.info, «il cosiddetto “pentitismo” nasce dall’abuso dei magistrati, che assicurano ai mafiosi premi che la legge non prevede in cambio delle loro rivelazioni». Mellini lo diceva, qualche giorno fa, in una bella intervista al Foglio. Nella quale, tra le altre considerazioni, spiegava che nell’era presente, un’era che in futuro sarà certamente ricordata come età del pentitismo, o della giustizia giurassica, «il pubblico ministero è diventato una specie di magistrato poliziotto» e che ormai, «a forza d’indagare sulle ipotesi di reato e d’usare i pentiti come mezzi di prova», i magistrati «istigano» i cosiddetti collaboratori di giustizia «a rendere le loro confessioni sempre più clamorose». Prendiamo Giovanni Brusca, detto «lo scannacristiani», e anche «u verru», cioè il porco, dice Mellini. Fiancheggiatore se non luogotenente di Totò Riina, assassino di Francesca Morvillo e di Giovanni Falcone e di tutti gli uomini della loro scorta, Brusca è stato a lungo un mafioso di rispetto e oggi è un pentito di panza. U Verru ha lasciato la mafia (o così dice, e mica tutti ci credono) «dopo aver sciolto un ragazzino nell’acido», ricorda Mellini. Non è un gran precedente per un uomo della legge e così adesso Brusca «deve dimostrare d’essere» non un pentito qualsiasi ma «un superpentito» agli occhi dei «magistrati che gli chiedono: «Ma come? Non sai niente?» Qualcosa un superpentito deve sempre sapere. È così che si guadagna il rispetto degl’inquirenti. Oppure prendiamo Massimo Ciancimino, che per mesi e mesi, tra gli applausi dei giornalisti con l’idea giustizialista fissa e molesta, si è esibito sul palcoscenico dell’antimafia mostrando al mondo la lingua fino alla radice come Mick Jagger in concerto. In particolare, secondo Mellini, «è sconcertante la lettura dei verbali» degli interrogatori resi dal giovane Ciancimino ai piemme palermitani Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo. Sono verbali stupefacenti, dice Mellini, nei quali il rampollo di Don Vito Ciancimino, uomo d’onore e di papelli e di contropapelli, sindaco di Palermo in tempi peggio che sospetti, «non dice mai niente e parla sempre per induzione da parte del pubblico ministero». Anche Ilda Boccassini, oggi pubblico ministero milanese, negli anni Novanta in servizio antimafia presso la procura palermitana, deve averli trovati sconcertanti se ha dichiarato che lei, di Ciancimino jr, non si sarebbe mai fidata. Marco Travaglio, che ormai non ha più freni, il solo italiano dell’età del pentitismo che sia autorizzato a bacchettare un magistrato, ha invece confermato tutta la sua fiducia a questo re dei collaboratori di giustizia. Tanto più adesso, quando Ciancimino jr ha consegnato alla procura palermitana l’intero archivio di papà, che aveva finora tenuto sotto chiave, lontano dagli sguardi indiscreti. Manca poco al giorno in cui i marchitravaglio d’Italia strilleranno perché ai magistrati sia concesso di ricorrere anche alla tortura, almeno per fare luce sui reati di mafia e di berlusconismo: dove non arriva la carota, largo al bastone. Questa catastrofe del diritto (e volendo anche un po’ della ragione) è l’esito d’una lunga marcia iniziata con le campagne più d’ultrasinistra che di sinistra lanciate da Magistratura democratica negli anni Settanta dello scorso secolo, dice sempre Mellini. Se oggi la magistratura reagisce sempre e comunque a schiaffi e morsi, qualunque cosa le si dica, e di fronte a qualsivoglia proposta di riforma della giustizia, perdendo le staffe anche quando la si carezza per il verso giusto, è perché «non si ritiene più un pezzo dello stato ma espressione d’un qualcosa che sta al di sopra del potere temporale, come gli ulema nello stato islamico» «È un’aristocrazia», conclude Mellini, «dotata di potere carismatico, che per definizione non è elettivo. Oggi a misurare la validità di quello che dice Brusca non è più la ragionevolezza o il diritto ma l’etica golpista del partito della magistratura: abbiamo individuato i grandi signori del male, tra i quali c’è Berlusconi, e ora dobbiamo colpirli».