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 2011  maggio 07 Sabato calendario

AFFARI D’ORO

Per chi era teenager negli Ottanta c’è anche la colonna sonora evergreen: «Gold/ Aiways believe in your soul/ You’ve got thè power to Know/ You’re indestructible/Always believe in, because you are/ Gold». Erano i cugini "poveri" dei Duran Duran, gli Spandau Ballet. Banale e orecchiabile come solo il soft rock di allora poteva essere. Ma tanto, visto l’argomento - l’oro - non ci voleva Bob Dylan per descriverlo. Chi non ci crede, soprattutto adesso che è salito sopra il record storico dei mille euro l’oncia (circa 31 grammi, ndr)? L’argento segue l’ispirazione a quasi 38 euro. E dunque, bisogna correre a comprare o a vendere?
A CREDERE A JOHN M. KEYNES con l’oro a mille euro dovremmo stare tutti piegati a terra ad ascoltare gli Spandau Ballet sull’iPod e a grattare per terra con le mani. Scriveva, in soldoni, il grande economista nella sua Teoria Generale dell’Occupazione (1936): sotterrate a diverse profondità dei sacchetti con monete d’oro e più salirà il prezzo più la gente scaverà a fondo. Una sorta di politica monetaria autogestita dalla pancia del Paese. Come dire: più sale il valore dell’oro, maggiore sarà l’incentivo a scavare a fondo anche nelle miniere. E a mille euro l’oncia varrebbe la pena anche correre il rischio di rompersi qualche unghia.
E allora? Perché non riprende la corsa al glorioso Klondike? L’amara verità è che c’è poco da scavare: di oro non ce n’è poi molto. Un cubo per venti metri di lato - non è una leggenda - contiene tutto ciò che è stato estratto e lavorato nella storia dell’umanità. È tutto lì: gioielli, monete d’oro e riserve delle banche centrali ammontano, in totale, a 165 mila tonnellate. Passa di mano sempre lo stesso oro, quello "vecchio". Dai giacimenti in Sudafrica o del Nord America, della Russia e della Cina ne viene estratta una piccola quota fissa, l’1,4 per cento all’anno. Aggiungiamo poi che l’oreficeria è in piena crisi.
Comprare un braccialetto d’oro per una comunione era un gesto che metteva d’accordo nobili e plebei: ma oggi non se ne parla più, altro che bene-rifugio. E se chiedete a chi ha visitato le ultime due fiere mondiali del settore, Basilea e Hong Kong, vi descriverà una brutta aria.
Insomma, a voler proprio ragionare da economisti, con l’offerta in leggera crescita e la domanda in calo, il prezzo dovrebbe addirittura scendere. «All’interno del Tari, il mercato dell’oro di Caserta, sto assistendo a file mai viste davanti al banco metalli» racconta Roberto Napoli, un produttore di gioielli antichi molto noto nel settore che ci aiuta in questa nostra indagine. «I gioiellieri vengono a vendere l’oro» continua. «Si parla di un milione di euro al giorno per ogni banco metalli e qui al Tari ce ne sono tre o quattro. Il pagamento è in contanti, tutti biglietti da 500 euro». Il banco metalli è la sede in cui i gioiellieri dovrebbero andare a comprare la materia prima per produrre. Ma qui succede esattamente il contrario: vanno a vendere i gioielli ceduti dai privati. «Il prezzo dell’oro a New York e Londra» spiega Napoli «è per il 24 carati, l’oro puro. Quello che vendiamo noi è oro 750, cioè 750 millesimi di oro e 250 di leghe. Il banco metalli paga quindi i tre quarti di oro, in sostanza 23 euro al grammo, guadagnando sulla commissione. Chi va oggi a vendere gioielli può riceverne al massimo 22 euro per grammo. Tutti ci guadagnano fino a quando il gioco regge, perché il giorno in cui il valore dell’oro crollerà qualcuno resterà con il cerino in mano».
È per questo che a sfogliare i giornali sembra di essere tornati nel Dopoguerra: i “compro-oro” stanno crescendo come i funghi dopo un acquazzone autunnale. Basta chiedere la licenza in Questura, necessaria perché chi compra deve conservare i gioielli una settimana per legge (potrebbero essere rubati e la Polizia deve sapere dove fare il giro). Con la licenza si può andare a fare la fila davanti al banco metalli. «C’è chi porta a casa 2-3 mila euro a settimana con questo giochino» testimonia Napoli.
MA ALLORA SE TUTTI VENDONO chi è che compra e fa salire il prezzo? Banca Etruria, radicata nel distretto dell’oro di Arezzo, è uno dei pochi istituti specializzati nel metallo nobile. Un esperto che preferisce mantenere l’anonimato ci racconta che «se si tratta di una bolla speculativa siamo proprio agli inizi, sia perché non c’è molta volatilità, sia perché uno dei requisiti delle bolle è che anche i piccoli risparmiatori acquistino, mentre in questo caso vendono. La domanda da parte dell’industria tecnologica è di circa l’11 per cento. Ma è vero» ci spiega «che negli ultimi anni circa il 20 per cento della domanda è passato dall’oreficeria all’investimento. A comprare non sono più i produttori di gioielli ma banche centrali e fondi di investimento come gli Etf sull’oro».
Insomma, dietro al rialzo c’è la sete d’oro della finanza. Gli investitori comprano lingotti good delivery, cioè con un elevato standard di purezza, per depositarli nei caveau della Hong Kong Shanghai Banking Corporation. In Italia c’è una sola società che può produrli ed è la Chimet Spa di Arezzo. E lì che finiscono i nostri vecchi gioielli per trasformarsi in lingotti lasciandoci, nonostante i mille euro all’oncia, un po’ più poveri come Paese. L’oro in uscita difficilmente tornerà.