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 2011  maggio 11 Mercoledì calendario

IN COLOMBIA È DI NUOVO MATTANZA

«Ho sentito gli spari ma non avrei mai pensato che fossero rivolti a mio figlio. Lui non c’entrava niente con le bande. E invece, quando sono uscita, l’ho visto lì, in un bagno di sangue». Non piange Reina Del Socorro, ha gli occhi asciutti e la voce dura mentre racconta ad Avvenire l’omicidio del suo terzogenito Fabio Nelson, 29 anni, taxi­sta della comuna 1 di Medellín. Molti nella zona dicono a mezza voce che i responsabili sono «loro, gli incappuc­ciati ». Gli stessi che di tanto in tanto annunciano con lettere sparse per il quartiere le “limpiezas”: mattanze di narcos rivali o piccoli criminali auto­nomi. Lo fanno – scrivono – per man­tenere l’ordine. Un ordine fondato sul terrore. Gli in­cappucciati ricordano, per stile e reto­rica, i vecchi paramilitari, formalmen­te smobilitati. L’Onu, gli attivisti per i diritti umani e lo stesso governo co­lombiano preferiscono definirle “Ban­das criminales emergentes” o Bacrim. Con 38 massacri commessi nel 2010 – secondo le Nazioni Unite – questi gruppi fanno rinascere lo spettro del paramilitarismo ovunque, dalle peri­ferie di Bogotà alle montagne del Cau­ca. È però nello stillicidio delle “co­munas” di Medellín – dove l’anno scor­so ci sono stati oltre duemila morti am­mazzati – che il fenomeno è più evi­dente.

Qui, nel dedalo di strade non asfalta­te e casupole mai terminate, crebbe tra gli anni Settanta e Ottanta Pablo E­scobar. In tanti lo considerano ancora un benefattore. Poco importa se fu tra i più spietati «signori del narcotraffi­co », il creatore dell’efferato cartello di Medellín, che trasformò la città in un campo di battaglia, con seimila assas­sinii all’anno. Per i residenti, però, don Pablo è quello che ha illuminato il pol­veroso “spiazzo” di Granizal, perché i ragazzini potessero giocarvi a calcio anche la sera. O ha portato nei rubi­netti delle baracche l’acqua corrente. Certo, il prezzo della sua “benevolen­za” era altissimo. Fu Escobar a creare il primo gruppo paramilitare “ufficia­le” della Colombia, il Mas (“Muerte a los Secuestradores”). L’obiettivo ma­nifesto del gruppo era combattere la guerriglia. Il fine reale era, però, il con­trollo del territorio e delle remunera­tive “piazze della droga”. Nel Mas si for­marono i fratelli Castaño, poi leader delle Auc (“Autodefensas Unidas del Colombia”), responsabili – secondo gli ultimissimi dati della Procura genera­le – di 173 mila omicidi e 1.597 massa­cri di civili. Otto anni fa, però, qualco­sa a Medellín e nell’intera Colombia è sembrato cam­biare. Nel 2003 cominciò il controverso “processo di smobilitazione” voluto dal governo dell’allora presi­dente Alvaro Uribe. In me­no di tre anni, 31.671 para­militari consegnarono le armi nell’ambito della leg­ge “Justicia y Paz”. Questa garantiva l’immunità ai quadri minori e un mas­simo di otto anni di carcere ai coman­danti, responsabili delle mattanze de­gli anni Novanta, sempre che confes­sassero e risarcissero le famiglie delle vittime. Dei 4.511 capi che lo hanno fatto, solo 3 sono stati finora condan­nati. Al di là degli evidenti limiti, la leg­ge ha ottenuto il risultato di porre fine all’anarchia di vent’anni fa. A comin­ciare proprio da Medellín, dove il tas­so di omicidi passò da 184 ogni 100mi­la abitanti nel 2002 a 28,6 nel 2007.

L’illusione, però, non è durata a lungo. «Nel 2009 l’indice di omicidi è rischiz­zato verso l’alto con 86 delitti ogni 100mila abitanti – spiega ad Avvenire Nelly Osorno dell’Instituto Popular de Capacitación (Ipc). – Gli adolescenti sono i più colpiti. Negli ultimi due an­ni sono stati massacrati duemila ra­gazzi tra gli 11 e i 25 anni».

Nel resto del Paese non va meglio. Se­condo un recente rapporto dell’Alta commissione Onu per i diritti umani, nel 2010 le stragi di civili sarebbero sta­te quasi il doppio rispetto all’anno pre­cedente. A commetterle – dicono le Nazioni Unite – sono state le Bacrim, responsabili anche di innumerevoli ca­si di rapimenti, scomparse, minacce, a­busi contro chi rifiuta di sottostare al­la loro legge criminale. Come Severia­no, catechista di 22 anni, «scomparso a Guapi, nel Cauca – denuncia padre Vicente Pellegrino, missionario della Consolata – o il sacerdote di El Altrato e le religiose di Murindó, nel Chocó, nel mirino per essersi rifiutati di pa­gare il “pizzo”» alle Bacrim. «Non è che la violenza sia tornata – racconta Elkyn Pérez, direttore dell’associazione d’i­spirazione cattolica “Convivamos” – è che non è mai finita, si è solo nascosta per qualche anno. Ora è riesplosa per le ombre che hanno caratterizzato il processo di smobilitazione».

A formare le Bacrim – una galassia di bande dai nomi pittoreschi: “Aquile Nere”, “Le stoppie”, “L’Esercito rivolu­zionario anticomunista di Colombia”, “I maschi” – sono stati, infatti, i quadri paramilitari intermedi rimasti “disoc­cupati” dopo lo scioglimento delle Auc. Addestrati, armati e abituati alla vio­lenza, questi sbandati hanno formato nuovi gruppi che conterebbero dai 4 ai 10mila uomini e agirebbero in almeno 24 dei 32 dipartimenti colombiani. La loro influenza è tale – ha denunciato il ministro della Giustizia, German Var­gas Lleras – che potrebbero alterare i risultati delle amministrative di otto­bre in 64 municipi. Come le Auc – e buona parte della guerriglia – la loro principale attività è il narcotraffico, abbinato ad ogni ge­nere di commercio illecito: dalla trat­ta di donne alle estorsioni. A differen­za dei vecchi paramilitari, le bande e­mergenti utilizzano meno l’ideologia per giustificare la loro sete di denaro. Tanto che in Nariño e in Cauca – se­gnala Human Rights Watch – “Le stop­pie” hanno formato un’improbabile al­leanza coi marxisti dell’Eln contro l’al­tro gruppo guerrigliero di sinistra, le Farc. Per questo, il governo sottolinea la discontinuità tra paramilitarismo e Bacrim, definite «comuni bande cri­minali ». Al di là dei termini, comun­que, queste ultime sono il «nuovo ne­mico », ha detto il presidente Juan Ma­nuel Santos. Un altro incubo che si ag­giunge ai già troppi di un Paese dila­niato da oltre 60 anni da una guerra mai dichiarata.