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 2011  maggio 11 Mercoledì calendario

IL BLITZ PER SPARTIRSI LE POLTRONE «POSTALI» DELL’AGENZIA-DOPPIONE —

Sei giorni. Tanti sono bastati al governo di Silvio Berlusconi per battezzare l’ennesima authority. Spuntata all’improvviso fra i commi di un decreto legislativo pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 aprile, l’hanno chiamata «Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale» . Che funzione ha? Stabilire le tariffe, controllare gli standard di qualità, vigilare sulla concorrenza e applicare le eventuali sanzioni, dopo che si è dovuta recepire anche in Italia la direttiva europea sulla liberalizzazione dei servizi postali. Si tratta di compiti in parte analoghi a quelli tipici dell’Antitrust di Antonio Catricalà e dell’Agcom di Corrado Calabrò. Duplicazioni considerate inevitabili, se ci si trova ora di fronte a un’altra autorità «indipendente» in piena regola, con una struttura di 60 persone, incaricata di raccogliere l’eredità (probabilmente personale compreso) della Direzione generale della regolamentazione postale del ministero dello Sviluppo, e guidata da un collegio di tre componenti. Durata del mandato: tre anni, rinnovabile una sola volta. Non possono fare consulenze, né ricoprire incarichi pubblici o privati, e neppure avere cariche politiche elettive. La loro nomina è di competenza del presidente della Repubblica su designazione del consiglio dei ministri, che ha provveduto in questo caso con una rapidità fulminea, considerando che lo stesso governo aveva impiegato ben due anni soltanto per decidersi a istituire (renderla operativa è un altro paio di maniche) un’autorità ben più importante: quella per l’acqua. Il 5 maggio, sei giorni appena dopo la pubblicazione del decreto, i tre erano già stati designati. Non senza qualche sorpresa perfino per lo stesso ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, autore delle candidature. La più bruciante: l’esclusione del direttore generale della regolamentazione postale Mario Fiorentino, il quale era stato proposto come membro del collegio per ragioni di competenza. Merce che però passa regolarmente in secondo piano nelle nomine pubbliche. Dove prevalgono considerazioni di altro genere rispettate evidentemente anche in questa circostanza. Politiche, ovviamente. Senza nulla togliere alle qualità professionali della persona, senz’altro eccellenti, è inevitabile interrogarsi circa l’opportunità di collocare alla presidenza di un’agenzia di regolazione un esponente della magistratura competente a giudicare sulle controversie che la riguardano, come il consigliere di Stato Carlo Deodato. Va detto che non è una novità: i vertici delle autorità «indipendenti» pullulano di esponenti della magistratura amministrativa, a cominciare dai presidenti dell’Antitrust e dell’Agcom. Anche se in questo caso va precisato come Deodato non sia un semplice consigliere di Stato bensì un magistrato con responsabilità nel governo che l’ha nominato, essendo il capo di gabinetto del ministro dell’Innovazione Renato Brunetta. Nemmeno sulle capacità dell’avvocato Francesco Soro è legittimo dubitare. Tuttavia non si può evitare di ricordare come l’attuale presidente del Corecom Lazio, la piccola authority regionale delle comunicazioni, sia considerato vicino al leader di Alleanza per l’Italia di Francesco Rutelli. Elemento che potrebbe indurre a sospettare come a far pendere la bilancia dalla sua parte, fatto di cui porta la responsabilità il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta (il nome di Soro non era nella terna proposta da Romani), abbiano contribuito le esigenze politiche più delle sue indiscutibili qualità. Una specie di piccola apertura «cencelliana» al terzo polo o che altro? La cosa certa è che, a quanto risulta, nessuno dei suggerimenti informali avanzati sui possibili candidati dal Partito democratico è stato preso in considerazione. Il terzo nome del collegio, infine, è quello di Giovanni Bruno, collocato alla direzione generale per la radiodiffusione del ministero delle Comunicazioni nel novembre 2005 al tempo del ministro aennino Mario Landolfi (Romani era sottosegretario), poi scaricato dal successore di Landolfi, Paolo Gentiloni, quindi protagonista di un lungo contenzioso con l’amministrazione di centrosinistra. Con il ritorno del centrodestra ha riscosso i suoi crediti. E a proposito di crediti, resta aperta anche la faccenda delle retribuzioni dei componenti del collegio. Sulla Gazzetta ufficiale del 29 aprile è stata infatti pubblicata anche una errata corrige a proposito degli emolumenti. Il decreto istitutivo dell’Agenzia li aveva fissati in 150 mila euro per il presidente e 120 mila euro per i due componenti. Ora invece è previsto che le retribuzioni vengano stabilite successivamente con un provvedimento del ministero dell’Economia. Il motivo? Forse ci si è accorti che nel decreto c’è scritto che non possono svolgere altre attività e che i dipendenti pubblici sono collocati in aspettativa senza assegno. Già, l’assegno!
Sergio Rizzo