Guido Olimpio, Corriere della Sera 11/05/2011, 11 maggio 2011
UCCISO O «IMMERSO». LE IPOTESI SUL LEADER E LE ANSIE DEI LEALISTI —
Gheddafi è morto. Ucciso dall’incursione lanciata dalla Nato a fine mese su Tripoli. Questo spiegherebbe perché non lo hanno più visto dal 30 aprile. Oppure è molto spaventato. Il raid, costato la vita al figlio Saif Al Arab e ai tre nipotini, è stato un segnale terribile. Sul piano umano e della sicurezza. Pochissimi sapevano della presenza del Colonnello e della moglie in quella villa. Non era il bunker di Bab El Aziziya, indicato sulle mappe e noto a tutti. Dunque qualcuno ha tradito fornendo indicazioni all’alleanza. Quando sono state diffuse le foto delle rovine, ci si è chiesti: possibile che siano rimasti uccisi solo il figlio e i nipoti? Davvero il Colonnello ha evitato la stessa fine? Ma non sono mancati dubbi sulla morte di Saif. Nel clima d’assedio nessuno ha risposte precise. Se il Raìs ha dribblato ancora una volta le bombe— come nel 1986— si è «immerso» . Ossessionato dalla sicurezza, diffidente, ha capito che neppure gli scudi umani gli garantiscono protezione. Avevano raccontato, in aprile, che cambiasse spesso nascondiglio, scegliendo quartieri densamente abitati. Il modo in cui è stato ucciso il figlio ha cambiato le regole. Il leader può restare al coperto, ma non all’infinito. Perché il regime si identifica con la figura del Colonnello. Un’assenza prolungata rischia di aumentare le difficoltà dei governativi. Sul piano militare i lealisti appaiono in difficoltà e l’alleanza, probabilmente, è riuscita ad aprire una breccia nel cerchio di ferro attorno al Colonnello. Una o più talpe che collaborano. E poi ci sono gli oppositori. Non abbastanza forti per prendersi Tripoli, ma ben inseriti nel tessuto cittadino per segnalare i movimenti del clan. Ripetendo una tattica adottata dagli americani nella caccia a Saddam, gli alleati mantengono la pressione con raid su luoghi-simbolo. A parte il complesso di Bab El Aziziya, hanno «toccato» una grande caserma e la sede della tv. Attacchi che servono a rendere insicuri i movimenti in città. Incursioni che possono arrivare al bersaglio più importante. Le voci sulla morte del Colonnello, infine, diventano anche un’esca per spingerlo a uscire fuori. Intanto gli amici di Gheddafi sono inquieti. L’Algeria ha proseguito a mandare aiuti, compresi centinaia di pick-up acquistati in Siria e fatti passare dalla Tunisia. Ma anche l’Iran — secondo fonti mediorientali — è pronto a muoversi nonostante si sia espresso a favore degli insorti. La Guida Khamenei, superando le resistenze del capo della diplomazia, ha approvato un piano segreto per dare una mano a Tripoli. Il vero obiettivo non è appoggiare Gheddafi, quanto piuttosto allungare i tempi del conflitto in modo da trascinare gli alleati in una palude insidiosa. Gli iraniani hanno allo studio un paio di opzioni. La prima è un aggiramento dell’embargo per rifornire di armi, in particolare lanciamissili anti-aerei portatili, il regime. E a questo fine dovrebbe essere usato il Sudan come punto d’appoggio. La seconda ipotesi — più delicata — è fornire alla Libia assistenza militare diretta o attraverso dei «volontari» . Vedremo se il progetto andrà avanti.
Guido Olimpio