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 2011  maggio 11 Mercoledì calendario

MUHAMED IL CECCHINO: «NON SPAREREI AL DITTATORE» —

«Inspiro profondamente, prendo la mira e sparo» . Testa o cuore? «Testa, sempre testa» . Magari ha meno della tua età, forse ha dei bambini, può darsi che sia il suo primo giorno al fronte… «Per me è un nemico, un soldato del tiranno, un morto che cammina. Penso solo questo mentre premo il grilletto» .
Le emozioni sono vietate, quando fai il cecchino. Muhamed Belhagi ha 25 anni e dice che ha imparato a indossare «la corazza dell’indifferenza» ogni volta che ha imbracciato il suo Fn, il fucile di precisione belga che usa per uccidere i miliziani di Gheddafi. Quanti finora? «Tanti ma il numero non lo dico» .
Vive a Bengasi, Muhamed, ed è un esperto di informatica. Le ore passate su Facebook sono un ricordo lontano. Adesso la sua vita è con i ribelli sulla linea del fronte: a Brega, nel deserto dopo Ajdabiya, a Ras Lanuf, Ben Jawad… Ogni tanto torna a casa per salutare amici e parenti e tutte le volte non vede l’ora di ripartire. «Non so come spiegarlo, credo che si possa capire solo quando si sta dietro il mirino. Succede sempre la stessa cosa: quando finisco il lavoro tiro un sospiro di sollievo, poi però basta non farlo per un giorno e già mi manca» .
«Il lavoro» , dice. E se gli fai notare che quello del cecchino è un «lavoro sporco» sorride (per la prima volta) e sorseggia il suo tè alla menta. Pausa di riflessione. «È un lavoro schifoso soltanto se lo fai come lo fanno i soldati di Gheddafi. La differenza fra noi e loro è che loro sparano a qualunque persona si muova e uccidono civili, bambini compresi. Noi uccidiamo militari, nemici. Siamo avversari e siamo in guerra, e i nemici quando sono in guerra vivono per uccidersi» .
Muhamed si abbassa sul tavolo, mima la posizione del cecchino. Un soldato del Raìs compare nel suo mirino immaginario. E lui racconta: «L’adrenalina sale improvvisamente, diventa eccitazione, energia, e la sola cosa che impegna la mente a quel punto è la paura di sbagliare il colpo. Ti concentri soltanto su quel dettaglio: non devo sbagliare, non devo sbagliare… E spari. Io non ho mai fatto un errore» .
La svolta di Muhamed è arrivata con la battaglia di Bengasi, a febbraio. Le truppe del Colonnello sono entrate in città «e in quei giorni mi sono davvero spaventato — confessa lui—. Volevo fare qualcosa per la rivoluzione ma non sapevo cosa» . Quando i ribelli hanno ripreso il controllo della città, i militari hanno organizzato degli addestramenti per i civili volontari: «Ho saputo che insegnavano a usare le armi e sono andato a seguire delle esercitazioni» . Era la prima volta che Muhamed vedeva un fucile, un razzo, un kalashnikov. «Il primo giorno mi hanno detto "prova a mirare lì". L’ho fatto e sono rimasto scioccato dalla mia precisione, non sapevo di essere così bravo» . Se ne sono accorti anche i militari e nel giro di due settimane l’informatico spaventato è diventato un cecchino implacabile.
«Fino ad allora i cecchini li avevo visti soltanto nei film— dice lui —. E mentre mi esercitavo, le prime volte, pensavo ad Enemy at the gate, il mio preferito» . Il titolo italiano è Il nemico alle porte, un film del 2001 di Jean Jacques Annaud. È la storia di due tiratori scelti che si fronteggiano nella storica battaglia di Stalingrado, durante la Seconda guerra mondiale. Vassili il russo contro König il tedesco. «Vassili è il mio eroe» , annuncia Muhamed. Inutile dire che Vassili vince e uccide König.
E qui? Chi bisogna uccidere per vincere? «Sarebbe facile dire Gheddafi— risponde Muhamed —. E invece se comparisse davanti al mio mirino non lo ucciderei. Preferirei che fosse arrestato e processato. Lui sarà anche un dittatore spietato ma non è un soldato e io non sono un assassino» .
Giusi Fasano