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 2011  maggio 11 Mercoledì calendario

IL RAÌS È L’OBIETTIVO NON DICHIARATO

La caduta del regime è l’obiettivo, celato dietro la foglia di fico della missione umanitaria e della risoluzione dell’Onu, dei raid della Nato in Libia. Lo affermano in molti, anche un intellettuale moderato di origini libiche come Karim Mezran, direttore del Centro studi americani di Roma, autore di un libro fresco di stampa, "L’Africa mediterranea", che vede comunque nell’intervento internazionale forse «l’unica possibilità di affermazione nel suo Paese di un nuovo sistema politico».

Quindi anche Gheddafi è un target, nonostante le smentite ripetute, e un po’ stucchevoli, dei comandi dell’Alleanza. Non è questa la prima volta che il Colonnello, nel mirino anche in passato dell’Occidente, viene dato per spacciato: il 2 aprile del 1986 una bomba da una tonnellata sganciata dai caccia di Ronald Reagan centrava - come è accaduto ieri - il bunker di Tripoli, la caserma di Bab el-Aziziyah, uccidendo Hanna, una delle figlie adottive del raìs. Anche allora si disse che il Colonnello era morto.

Per oltre un giorno Gheddafi non si fece vedere, tanto da accreditare la notizia che fosse rimasto sotto le macerie. Si parlava insistentemente anche di un colpo di stato per rovesciarlo. Il 4 aprile ricomparve in tv, indossando un’uniforme immacolata adorna di medaglie. Ma non fu questa l’immagine che allora colpì i testimoni occidentali.

L’aspetto più impressionante, subito dopo il bombardamento che aveva sventrato Ben Achur, il cuore di Tripoli, era l’apatia diffusa tra la popolazione. Tutti si attendevano che la gente scendesse in piazza a scandire slogan in favore di Gheddafi. Invece di mobilitarsi contro il nemico, i tripolini non rispondevano alla deriva militarista del Qaid e se ne stavano rintanati in casa, ignorando i richiami della propaganda di regime per dare vita alle consuete adunate. Gheddafi allora si accorse di come era svanita l’illusione di fare di un popolo di commercianti, pastori e beduini una razza di guerrieri.

È quello che accadrà dopo il Colonnello l’interrogativo oggi più inquietante. La diplomazia internazionale, mossa da folto un corteo di attori, da Washington a Roma, da Parigi, Londra ad Ankara, si sta muovendo per trovare una soluzione. Questa vicenda, iniziata con i bombardamenti francesi, una decisione presa da Sarkozy con sospetta rapidità, continuata con l’atteggiamento ambiguo degli americani e proseguita con il coinvolgimento dell’Italia, deve trovare una via di uscita che non si esaurisce con la fine di Gheddafi.

I libici non sono il popolo di guerrieri che voleva il Qaid ma una nazione senza Stato e istituzioni che confina, dalla fascia nordafricana a quella sotto il Sahara, con Paesi poveri e in preda a conflitti e instabilità. Nel buco nero della Libia non c’è soltanto il petrolio che fa gola all’Occidente ma anche qualche imprevedibile rischio.