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 2011  maggio 10 Martedì calendario

ALTRI SBARCHI A PANTELLERIA GLI ALLEATI NEL GIUGNO ‘43

Le domando come mai nel giugno del 1943 Mussolini autorizzò il comandante della piazzaforte di Pantelleria alla resa prima ancora di combattere. Appena tre anni prima il Duce affermava che l’isola sarebbe divenuta l’ultimo baluardo imprendibile, l’anti-Malta. In effetti, a fronte delle stime di Winston Churchill di circa 3.000 unità, Pantelleria ospitava ben 11.000 soldati italiani e ben 54 batterie costiere ed era «armata fino ai denti» . Perché fu presa questa decisione che spalancò le porte della Sicilia, che cadde in mano agli anglo-americani? Lo stesso Jackson scrisse in «La battaglia d’Italia» che se l’isola fosse stata presidiata dai tedeschi invece che dagli italiani, come a Cassino e Caen, la storia avrebbe avuto un altro epilogo.
Marco Piselli
piselli_m@yahoo. it
Caro Piselli, la conquista di Pantelleria fu considerata dagli Alleati il necessario prologo dello sbarco in Sicilia. Come ricorda uno storico militare britannico, Eric Morris, in un libro pubblicato in Italia da Longanesi nel 1993 («La guerra inutile. La campagna d’Italia 1943-1945» ). L’isola, a 110 km dalle coste siciliane, era nota allora come la Gibilterra del Mediterraneo. Gli inglesi e gli americani temevano che «nascondesse un nido di temibili siluranti e di squadriglie di Stuka nascoste in hangar in caverne a prova di bomba» . Fu deciso che il migliore modo per neutralizzare il ruolo dell’isola nella difesa della Sicilia fosse un massiccio attacco dall’aria. Fra il 1 ° e l’ 11 giugno gli aerei alleati fecero 5.218 missioni e sganciarono 6.400 tonnellate di bombe su un perimetro composto da dodici chilometri quadrati. Poterono farlo, beninteso, perché l’aeronautica militare italiana non era in condizione di contestare agli Alleati il controllo del cielo e lasciò i suoi aerei negli aeroporti della Sicilia e del continente. Come vede, caro Piselli, la situazione dell’isola, in mancanza di un valido aiuto del dispositivo militare italiano, era disperata. Resta tuttavia il fatto che la guarnigione si arrese senza combattere non appena un reparto britannico mise piede sull’isola e che il comandante italiano giustificò la sua decisione dicendo che le bombe alleate avevano inquinato le risorse idriche di Pantelleria. La resistenza, tuttavia, sarebbe stata possibile. Una commissione d’inchiesta alleata, qualche tempo dopo, accertò che dei 130 cannoni dell’isola soltanto sedici erano stati distrutti, che i morti, fra gli 11.000 soldati della guarnigione, erano meno di 200, che gli hangar dell’isola non erano stati colpiti. La città e il porto, tuttavia, erano stati rasi al suolo. La caduta di Pantelleria è soltanto un esempio della drammatica impreparazione italiana allo sbarco alleato. Secondo uno storico americano, MacGregor Knox, sembra che la maggiore attività dei nostri vertici militari, in quei mesi, consistesse nell’inviare a Berlino richieste di materiali: carri armati, camion, mine anticarro, fregate, motosiluranti e navi spazza-mine. Le forze armate italiane ne avevano indubbiamente bisogno. Ma dietro quelle richieste vi era anzitutto il desiderio di giustificare la loro scarsa efficacia e, forse, di precostituire un alibi per il giorno in cui fosse stato necessario abbandonare l’alleato.
Sergio Romano