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 2011  maggio 10 Martedì calendario

SENZA L’ELEFANTE L’ACACIA SCOMPARE

Mancano i grandi animali e le piante vanno in crisi. Negli ultimi 30 anni gli ecologi hanno studiato a fondo le strette interazioni tra gli alberi e la fauna che favorisce la dispersione e lo sviluppo dei semi passati nel loro apparato digerente, alimentandosi dei loro frutti. Constatando così che in assenza di elefanti, giraffe e grandi scimmie diversi ecosistemi soffrono.
E’ il caso della Foresta di Ngotto, nella Repubblica Centrafricana, dove la scomparsa degli elefanti, di alcuni primati come gli scimpanzé e del bucero, un uccello dal grande becco, ha avuto come conseguenza la riduzione della diversità delle specie forestali. In Uganda, invece, gli alberi denominati localmente «krobodua» che producono grandi frutti, rischiano la rarefazione a causa della diminuzione degli elefanti che facilitano la loro riproduzione.
Nella foresta amazzonica peruviana la caccia alle grandi scimmie ha portato a una alterazione del profilo della foresta stessa, dove dominano ora piante i cui semi sono dispersi dal vento, a scapito di quelle che si diffondono grazie alla digestione dei frutti da parte dei primati. La diminuzione nelle savane africane di elefanti e giraffe determina uno squilibrio nella crescita delle acacie come riporta un articolo sulla rivista americana Science. Le modalità di alimentazione dei due grandi mammiferi stimola infatti la presenza di una particolare specie di formica che vive in simbiosi con la pianta, favorendone lo sviluppo.
A Ile aux Aigrettes, una piccola isola disabitata al largo della costa di Mauritius, è in corso dal 2000 un singolare esperimento. La Mauritian Wildlife Foundation ha introdotto infatti in questo piccolo ambiente le gigantesche tartarughe di Aldabra provenienti dalle Seychelles, per cercare di recuperare la flora nativa. La presenza delle tartarughe giganti ha consentito, sottolinea Dennis Hansen, ecologo dell’Università di Zurigo, la diffusione di una pianta minacciata, la Diospyros egrettarum. I rettili, infatti, cibandosi dei gustosi frutti, disperdono sul terreno i semi che, fertilizzati a dovere, crescono prosperosi. Ile aux Aigrettes è una sorta di laboratorio all’aperto, in cui sperimentare la metodologia da utilizzare nella vicina Mauritius, dove le piante originarie sono relegate in piccole aree.
Qui da tempo sono scomparsi a causa dell’uomo il mitico dodo, due specie di tartaruga e una lucertola gigante che contribuivano a rendere prosperosa la locale vegetazione, complice la loro dieta composta in particolare da frutta. Le piante locali, coevolutesi negli anni con questi animali a cui affidavano in pratica la loro sopravvivenza, hanno subito poi altri attacchi dell’uomo, come il disboscamento per fare posto alle monoculture di canna da zucchero e l’invasione di specie alloctone, più duttili e non bisognose di specie animali a cui affidare i loro semi.
Essere grandi, però, oltre a essere funzionali per gli ecosistemi, è anche meglio dal punto di vista evolutivo. E’ la conclusione a cui sono arrivati Joel Kingslver e Sarah Diamond, dell’Università del North Carolina, che su American Naturalist hanno analizzato ricerche degli effetti della selezione naturale su 100 specie animali e vegetali. Hanno così trovato che, all’interno di una specie, essere di buone dimensioni costituisce un indubbio vantaggio. Si vive di più, si ha un maggior numero di occasioni per accoppiarsi e si producono quindi più figli.
«I nostri risultati — commenta Kingsolver — contraddicono il modello evolutivo secondo cui la taglia media è giudicata ottimale per sopravvivere, in quanto meglio si adatta agli ambienti» .
Roberto Furlani