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 2011  maggio 10 Martedì calendario

BRUTO E GLI ALTRI: LA NECESSITA’ DEL SEGRETO POLITICO

Racconta Plutarco che Marco Giunio Bruto, nell’imminenza dell’attentato contro Giulio Cesare perpetrato il 15 marzo del 44 a. C., si preoccupava soprattutto di tenere il segreto dissimulando rigorosamente le proprie emozioni e i propri intendimenti. «Ma quand’era a casa e durante tutta la notte, non era altrettanto capace di autocontrollo. Talora l’inquietudine lo coglieva nel bel mezzo del sonno e destandosi sprofondava nelle sue riflessioni e meditava sulle difficoltà del grave compito che si era assunto. Ma il suo stato d’animo non sfuggì alla moglie, Porcia, che riposava al suo fianco. Essa si avvide che Bruto era in preda ad un turbamento insolito e che ruminava nel suo spirito un progetto evidentemente pesante e complesso. Porcia era figlia di Catone Uticense e Bruto, suo cugino, l’aveva sposata già vedova di un precedente marito, dal quale essa aveva avuto un figlio di nome Bibulo. Codesto Bibulo scrisse poi un breve resoconto intitolato Memorie su Marco Giunio Bruto» . (Ed è questa la preziosa fonte di Plutarco, il quale viveva e operava più di un secolo dopo i fatti). Seguita Plutarco: «Moglie affettuosa e dedita al marito, Porcia era dotata di enorme intelligenza e magnanimità. Non volle perciò tormentare Bruto con domande sul suo segreto, prima di fare in modo di sottoporsi ai suoi occhi ad una prova drammatica: prese uno di quei minuscoli coltelli con cui i barbieri tagliano le unghie, fece uscire dalla sua stanza tutte le schiave e si inflisse un taglio profondo nella coscia, dalla quale venne fuori parecchio sangue; subito dopo fu presa da violenti dolori, tremiti e febbri dovuti alla ferita. Nel frattempo Bruto era in preda ad una insopportabile inquietudine. Allora Porcia, al colmo della sofferenza, gli parlò così: «Bruto! Io sono la figlia di Catone; non sono entrata nella tua casa come una concubina, per dividere il letto o la tavola, ma per essere associata ai tuoi dolori e alle tue gioie. La tua condotta verso di me è stata sempre quella di un marito irreprensibile, ma, per quel che riguarda i miei sentimenti, quale prova posso io dartene se mi viene tolta l’opportunità di sopportare insieme con te una sofferenza nascosta o una preoccupazione che invece esige confidenza? So bene che la natura femminile appare troppo debole per condividere un segreto, nondimeno una buona educazione e la frequentazione di gente virtuosa influiscono molto sul carattere. Per giunta ho il vantaggio di essere figlia di Catone e moglie di Bruto. Fino a questo momento potevo dubitare di me, ma ormai ho la prova di essere superiore persino al dolore fisico» . Detto ciò gli mostrò la ferita e gli rivelò la prova cui si era sottoposta. Allibito, Bruto levò le braccia al cielo e pregò gli dei di accordargli il successo nell’attentato al quale si accingeva, onde apparire degno marito di Porcia» (Vita di Bruto, capitolo 13). Il racconto che Plutarco riferisce è probabilmente veridico, data la fonte di prim’ordine cui attinge. La morale dell’episodio consiste in una enfasi sulla necessità del segreto politico in momenti gravi e da parte di personalità, ancorché tormentate, sommamente responsabili. Porcia deve compiere un atto quasi disumano per ottenere che venga infranto il vincolo del segreto. Escludiamo che Michelle Obama abbia proceduto ad una escogitazione di questo genere. La questione del segreto come scelta inevitabile in determinate circostanze è ben presente nelle fonti antiche, e viene prospettata soprattutto in situazioni di estrema delicatezza e gravità. Quando, alla fine della guerra contro Sparta, nell’anno 404 a. C., Atene è assediata dal nemico e nondimeno resiste pur di non subire condizioni di pace umilianti, un rilevante uomo politico per tanti versi cruciale in quegli anni, Teramene, si accolla il compito, pesantissimo e odioso, di intavolare trattative col nemico recandosi a Sparta, e di indurre i riluttanti concittadini ad accettarne le richieste. Numerose fonti d’epoca parlano di questo delicatissimo momento, caratterizzato dalla scelta estrema di Teramene di nascondere fino all’ultimo il contenuto della trattativa. E insistono sulle contestazioni di cui egli fu oggetto per l’ostinazione con cui serbò il segreto, fino al momento della inevitabile capitolazione della sua città. Una delle fonti superstiti — si tratta di un foglio di papiro reso noto qualche decennio fa, contenente un antico racconto di questi fatti— dà la parola a Teramene. «Chi lo contestava diceva a gran voce: "Il segreto si serba nei confronti dei nemici, tu invece nascondi ai tuoi concittadini quello che intendi dire al nemico". E lui rispondeva, salendo alla tribuna: "Sbagliano i politici che mi accusano di ciò; se fosse in nostro potere dettare le condizioni di pace, non costituirebbe problema parlarne apertamente qui davanti a voi; ma poiché è il nemico che ha in mano il gioco, è pericolosissimo che io parli apertamente"» . Molti decenni più tardi, sempre ad Atene, un grande e sfortunato politico, l’oratore Demostene, in un momento di grave scoraggiamento di fronte all’inerzia degli ateniesi inconsapevoli del pericolo rappresentato dalla monarchia macedone, esplode in una constatazione amara, e forse veridica: «Fortunato il re macedone, che, per fare la sua politica con prontezza ed efficacia, non è costretto a discuterne pubblicamente e a sottoporsi alle lungaggini paralizzanti di un’assemblea deliberante!» .
Luciano Canfora