Diego Gabutti, ItaliaOggi 10/5/2011, 10 maggio 2011
IN "CARTA STRACCIA" IL PATATRAC DEI MEDIA DOPO MANI PULITE
Non c’è niente da aggiungere a quel che scrive Giampaolo Pansa nel suo nuovo libro, Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani (Rizzoli, pp 423, euro 19,90). Disgraziatamente è proprio come dice lui, un aneddoto via l’altro, dall’alto dei suoi cinquant’anni di giornalismo senza troppe devozioni: l’informazione, in Italia, è da tempo un’arlecchinata. Ma c’è un prima e c’è un dopo.
Ci sono i rapporti tra politici e gazzettieri ai tempi della prima repubblica e ci sono i rapporti tra informazione e politica seguiti al patratac dei primi novanta. È roba da prima repubblica, spiega Pansa, gran narratore, quando «Andreotti» ti sorprende «nell’atrio di Piazza del Gesù, la sede del vertice democristiano, mentre» prendi «appunti sul taccuino restando in piedi e con un sorriso da giaguaro» ti domanda: «Ma che fa? Le contravvenzioni?» Mentre è piena ouverture della seconda repubblica quando nel 1993 D’Alema, furente con la stampa irrispettosa, dichiara senza neppure la pretesa di sembrare spiritoso che «in questo paese non sarà mai possibile fare qualcosa sino a quando ci sarà di mezzo la stampa. La prima cosa da fare quando nascerà la seconda repubblica sarà una bella epurazione dei giornalisti in stile polpottiano». Cioè «nello stile di Pol Pot, capo dei khmer rossi, il sanguinario dittatore della Cambogia».
Stampa e televisione, anziché allineare notizie e opinioni com’è sempre accaduto e come avviene dappertutto, come per un breve periodo (tra il secondo dopoguerra e Tangentopoli) è accaduto persino da noi, sono oggi la fotocopia delle convinzioni per lo più ringhiose e fondamentaliste (evviva Tizio, a morte Caio, oppure vade retro Mediaset e alé oh oh Gruppo De Benedetti) della parte militante dei suoi lettori.
Siamo arrivati a chiamare opinioni i pregiudizi e, quanto alle notizie, si fanno ponti d’oro a quelle che piacciono a Tizio, mentre vengono ignorate quelle che invece divertono Caio, o viceversa. Telegiornali, carta stampata e talk show sono diventati, insieme ai loro consumatori, la caricatura (anzi l’helzapoppin, il pandemonium) di un’opinione pubblica comme il faut, cioè seria e responsabile.
È l’epoca del Fatto quotidiano e d’Ezio Mauro, ma anche di Libero e del Giornale. Gli organi d’informazione, ridotti a strumenti di guerra, come la pistola cui metteva mano Goebbels quando sentiva la parola «intellettuale», non informano né interpretano e men che meno decifrano la realtà, come si leggeva una volta nelle interviste alle grandi firme e ai direttori di testata, ma puramente e semplicemente creano, venendogliene l’uzzolo, la realtà che gli fa più comodo, oppure negano sfacciatamente l’evidenza, o la taroccano, come una voce dell’Enciclopedia sovietica, quando gli conviene.
Magia nera e apprendisti stregoni: era questo, in due pennellate, il giornalismo secondo Karl Kraus, che ne denunciava le feroci e spietate smielataggini nella Vienna del Valzer di Strauss e della psicoanalisi, dove l’antisemitismo funzionava da socialismo per gl’imbecilli (si veda Michele Battini, Il socialismo degli imbecilli. Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei, Bollati Boringhieri 2010). Oggi c’è un ché di stregato anche nel giornalismo secondo Pansa, il quale aggiorna la denuncia della stampa oziosa e matrigna ai tempi e luoghi nostri, dov’è il giustizialismo (insieme al «complesso dei migliori», che ha trasformato la sinistra e i giornalismo di sinistra, a cominciare dall’intera redazione di Repubblica, in una religione macabra e barocca) a funzionare da socialismo per gl’imbecilli.
Una farsa le gazzette schierate, e grottesco il paese da descrivere, naturalmente: da un lato i berluscones, con le loro cravatte e le loro mele al gusto che sappiamo e le loro balle sulla rivoluzione liberale di massa, e dall’altro la sinistra, che si ritiene «antropologicamente superiore» a chiunque non ritenga Roberto Saviano mejo de Tolstoj.
Storia in pantofole del giornalismo e della politica nell’Italia gaglioffa e sventurata degli ultimi trenta o quarant’anni, Carta straccia è a suo modo anche la biografia per immagini della sinistra italiana. In parte, naturalmente, ne è anche l’autobiografia, dato l’autore. Oggi Pansa è autore di svariati best seller revisionisti sulla Resistenza, nonché collaboratore di Libero, l’organo della destra bergamasca, ma un tempo era uno dei principali cacciatori di scalpi di Repubblica e dell’Espresso.