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 2011  maggio 10 Martedì calendario

COSI’ SCOPRIMMO CHI UCCISE CUSTRA

Nel 1986, ormai conclusa l’emergenza terroristica e disciolte quasi tutte le organizzazioni che avevano operato a Milano, rimaneva da risolvere l’omicidio del brigadiere Custra morto il 15 maggio del 1977. Un delitto rimasto con contorni non del tutto definiti, nonostante il racconto di Barbone e altri pentiti, perché molti erano i giovani che si erano staccati dal corteo, almeno una decina avevano sparato e bisognava anche capire a quale livello della dirigenza dell’Autonomia vi fosse una responsabilità per quell’azione di piazza.La sparatoria di via De Amicis, rievocata nel libro a più voci “Storia di una foto” appena pubblicato da Derive-approdi, aveva lasciato conseguenze dolorose. Era caduto un giovanissimo brigadiere che non avrebbe mai visto la figlia che stava per nascere. Anche le indagini condotte all’epoca avevano dato risultati scarsi e in parte ingiusti. Nonostante la possibilità di disporre di una serie di fotografie, quelle immagini erano state studiate in modo superficiale e i soli manifestanti individuati, i tre ragazzi del Cattaneo: Grecchi, Sandrini e Azzolini, pur non essendo affatto esenti da colpe, avevano in un certo modo pagato per tutti.
I tre erano stati condannati per omicidio volontario benché nessuno di loro avesse colpito Custra. L’Ufficio Istruzione riprese quindi le indagini dal punto ove si erano fermate. Decidemmo di risentire, con le fotografie in mano, tutti coloro che avevano collaborato o si erano dissociati e comunque tutti, anche i personaggi minori, non esclusi poliziotti e fotografi, che erano quel pomeriggio in via De Amicis. Lavorai per oltre tre anni sentendo un centinaio di indagati, testimoni, manifestanti via via individuati, mentre con il nuovo Codice il ruolo del Giudice Istruttore stava per scomparire.
Alla fine, mettendo insieme i punti di osservazione di ciascuno, disegnando durante gli interrogatori piantine di quel tratto di strada tra gli alberi, ricostruimmo l’identità di tutti coloro che avevano sparato o lanciato molotov e la loro posizione: Barbone, Memeo, Pasini, Ferrandi, Colombo, De Silvestri, i ragazzi del Cattaneo e i giovanissimi lanciatori di molotov del piccolo Collettivo di viale Puglie.
Restava da sapere chi avesse esploso la pallottola calibro 7.65 Hirtemberg che aveva colpito alla fronte Custra.
Riguardai per l’ennesima volta le vecchie foto e notai che oltre Memeo, con l’arma a braccia tese, nascosto tra gli alberi, c’era un giovane con i capelli chiari intento a fotografare. Il fotografo Pedrizzetti, che aveva scattato quella famosa foto, aveva ripreso, e nessuno ci aveva mai badato, qualcuno che a sua volta stava fotografando la scena in controcampo. Con l’aiuto dei testimoni non fu difficile individuare lo sconosciuto, era un fotografo free-lance, Tonino Conti, molto vicino al mondo dei manifestanti. L’indagine ebbe un colpo di fortuna. Nell’abitazione di Conti, nascosti in un libro da 12 anni, trovammo ben 28 negativi della sparatoria che Conti non aveva né pubblicato, né distrutto né consegnato alla Polizia.
Fu la svolta che completò la scena di via De Amicis. Conti, a differenza degli altri fotografi, aveva puntato il suo obiettivo anche in avanti, verso la Polizia, aveva fermato l’inizio dell’attacco e ripreso in tre fotogrammi lo sparatore che si era portato subito più avanti di tutti. Era un ragazzo che non compariva nelle altre foto, con un passamontagna chiaro e un’automatica in mano: Mario Ferrandi, un giovane che si era da tempo staccato dalla lotta armata, aveva sparato il colpo mortale.
La fotografia più famosa, pubblicata in tutto il mondo, che riprendeva Memeo con l’arma a braccia tese, lo capimmo allora, era stata scattata in un momento successivo, durante la ritirata del gruppo, quando Custra era già stato colpito: qualche volta anche le immagini icone ingannano. Così l’indagine ebbe fine. Non fu, come ho accennato, un’indagine emergenziale e nel concluderla vi fu attenzione a distinguere ruoli e responsabilità.
Chi aveva solo lanciato molotov durante l’attacco non fu rinviato a giudizio per omicidio ma solo per l’uso di quegli ordigni. Ebbe quindi una pena lieve. Una pena che avrebbe potuto essere quella, invece molto più alta, da applicarsi nel primo processo anche ai ragazzi del Cattaneo, i tre che scontarono il fatto che al tempo non fosse stata ricostruita, come in un film, l’intera scena di via De Amicis sovradeterminando, quasi inevitabilmente, la responsabilità degli unici individuati.
Dei dirigenti dell’Autonomia, anche se responsabili di aver spinto tanti giovani a una concezione delirante dell’impegno politico, fu rinviato a giudizio solo chi si trovava quel giorno fisicamente in via De Amicis a fianco delle squadre, non ritenendosi giusto attribuire il «concorso morale» ai capi che non erano presenti: restava, ma al di fuori del processo la loro «responsabilità» morale. Al termine del dibattimento la Corte d’Assise giudicò colpevoli tutti gli accusati di concorso in omicidio ma le pene irrogate furono, quasi per tutti, piuttosto contenute, anche perché spesso applicate in continuazione con condanne precedenti. Del resto, più del carcere, aveva valore per la città la verità, che è stata raggiunta, su quel pomeriggio che precedette e in qualche modo annunciò gli omicidi degli anni successivi: Galli, Alessandrini, Tobagi e tante vittime meno illustri ma non per questo da dimenticare.
Alla fine di questa indagine resta un rammarico e un segno positivo. Se nelle prime indagini vi fosse stato maggior intuito e professionalità, individuando subito Tonino Conti molto conosciuto e ben visibile mentre fotografava appoggiato all’albero e acquisendo già allora le immagini da lui scattate, tutti gli sparatori sarebbero stati individuati e arrestati. Si sarebbe impedito che la loro attività proseguisse in formazioni, la XXVIII Marzo di Barbone, i P.AC. di Memeo che giunsero a tanti agguati omicidiari. Individuare nel 1977 gli sparatori di via De Amicis sarebbe stato un segnale forte per le organizzazioni terroristiche in via di formazione che si credevano invincibili e avrebbe probabilmente salvato molte vite.
Il segno positivo, oltre alla verità raggiunta, è che finalmente dopo tanti anni, nel 2008, il Comune, sulla spinta delle Associazioni delle Vittime, ha collocato in via De Amicis una targa nel punto in cui è caduto Antonino Custra. Nel corso del tempo, tanti di coloro che vedevano nella violenza un mezzo legittimo di lotta politica e tutti i giovani protagonisti di quella tragica manifestazione, sono rientrati nella vita civile, lavorano e sono parte attiva della società. Sotto la targa di via De Amicis si sono incontrati la figlia di Custra e lo sparatore che le ha impedito col suo gesto di conoscere il padre. Hanno parlato, rompendo un muro di tanti anni. Incontri come questo, senza dare ad esso un nome, sono uno degli antidoti morali che aiuteranno a non rivedere in futuro immagini come quelle delle fotografie della nostra indagine.