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 2011  maggio 10 Martedì calendario

Ponsin, Ravasio e Santisteban morti per la bici - Il corridore è come l’equilibrista sul filo. Tocca terra solo con i due punti di tangenza delle ruote

Ponsin, Ravasio e Santisteban morti per la bici - Il corridore è come l’equilibrista sul filo. Tocca terra solo con i due punti di tangenza delle ruote. Sfreccia imprendibile. In discesa è una macchia di colore che impressiona la retina come un fuoco d’artificio. Di questo cavaliere veloce come il vento ammiriamo sempre l’audacia, l’abilità, l’eleganza. Però, nell’iliade del Giro, il ciclista deve vedersela col Fato. Tre corridori, prima di Wouter Weylandt, avevano già perso la vita sulle strade del Giro: il veneto Orfeo Ponsin, lo spagnolo Manuel Santisteban, il brianzolo Emilio Ravasio. Voli spezzati. Tragedie. La sfortuna di Orfeo Ponsin, col suo bel nome musicale, era un emigrante in cerca di fortuna. Era nato a Sant’Anna Morosina, frazione di San Giorgio in Bosco, Padova, il 1 ° settembre 1928. Il suo nome vero era Ponzin, poi la «z» si è corrotta in «s» con la cadenza veneta. Era figlio d’arte: suo padre, Alfredo Ponzin, era stato un buon corridore, ma, per campare, nel 1937 era emigrato a Crescentino, in provincia di Vercelli, a lavorare nei campi. Orfeo era il terzo dei suoi otto figli maschi. Il Fato lo ha aspettato al varco il 20 maggio 1952, nella quarta tappa del Giro, sulla discesa della Merluzza. Lo scoppio di una gomma. Il volo. Lo schianto contro il tronco di un albero al chilometro 16 della Via Cassia. Aveva 23 anni. Fu colpa del Fato. Ponsin non era nemmeno stato selezionato per il Giro. Il forfeit del cremonese Silvio Pedroni, però, lo aveva lanciato nel vortice di un’avventura fatale. Era un discesista mediocre. L’anno prima, nel suo primo Giro, nella tappa di Cortina, era caduto scendendo dal Passo della Mauria. Se l’era cavata con 24 punti di sutura al braccio destro. Dire che quello fu un segno premonitore è troppo facile e forse ingiusto. L’agonia di Ravasio Anche Emilio Ravasio, da Carate Brianza, morì a 23 anni in Sicilia. All’Atala era il compagno di stanza di Gianni Bugno, l’esordiente più atteso al Giro del 1986. Aveva il numero 9, Bugno l’ 1. Li guidava dall’ammiraglia Franco Cribiori. Il 12 maggio il Giro incominciò col cronoprologo di Palermo e con la Palermo-Sciacca. Ravasio cadde a 10 km dall’arrivo. Una caduta di gruppo banale, che, all’inizio, non entrò neppure nella cronaca. Ravasio si rialzò, proprio come La tragedia dello spagnolo Santisteban viene narrata anche in un libro di Cannavò: al funerale c’era tutta Catania aveva fatto Serse Coppi 35 anni prima, e tagliò il traguardo con 7 minuti di distacco dal vincitore. In albergo si sentì male, ebbe conati di vomito. Venne ricoverato, alle 19 entrò in coma. Fu operato al cranio. Morì dopo 16 giorni. Una tragedia che Bugno non dimenticherà mai. Il castigliano all’attacco Manuel Santisteban, invece, era venuto da Ampuero a cercar gloria al Giro del 1976. Non era un semplice «aguador» , un gregario, portatore d’acqua. Era un castigliano della Kas con la nozione della prodezza, un attaccante. In quella prima semitappa, però, non era andato in fuga. Si era fermato per aiutare il compagno Gonzalez Linares, che aveva forato. Proteso nell’inseguimento era caduto, battendo il capo contro il guard-rail subito dopo Aci Sant’Antonio, poco prima di Acireale. Invano aveva tentato di farsi scudo col braccio destro. Si era spento quasi subito per la frattuta del cranio. Aveva 31 anni e due figli. Cannavò narra di quel giorno tragico nel suo libro «Una vita in rosa» . Era il corrispondente della Gazzetta da Catania e, poiché il Giro doveva continuare e Torriani doveva guidarlo dalla sua ammiraglia, Cannavò si ritrovò con Santisteban all’obitorio e con la sua bici nel portabagagli della sua Citroën, col compito di accogliere la vedova e di organizzare le esequie solenni in cattedrale. C’era tutta Catania, commossa per la tragedia, a quell’appuntamento pio. Quanti caduti Il ciclismo si confronta spesso col dolore. Altri corridori sono morti in bicicletta: come Alessandro Fantini e Fabio Casartelli, come il portoghese Agostinho e come il campione del mondo Stan Ockers, un belga come Weylandt: Il Fato lo attese sulla pista di Anversa ad un anno dalla splendida vittoria di Frascati. Proprio come Weylandt: oggi è un anno esatto dalla sua bella vittoria al Giro. Il Giro è avventura totale. Ogni tanto ci fa riscoprire il detto di Sofocle: «Non c’è grandezza senza dolore» . La strada spesso è via crucis. A ben vedere è proprio il dolore che dà al corridore grandezza. È questo che ci fa piangere, quando i corridori sono toccati dal Fato. E li rende cari e indimenticabili.