Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  maggio 09 Lunedì calendario

“Io a Lourdes, miracolato della porta accanto” (2 pezzi) - Il miracolato? E’ normale. Niente estasi, niente gesti ispirati, niente di fuori dall’ordinario per chi ha vissuto un’esperienza che di ordinario non ha nulla

“Io a Lourdes, miracolato della porta accanto” (2 pezzi) - Il miracolato? E’ normale. Niente estasi, niente gesti ispirati, niente di fuori dall’ordinario per chi ha vissuto un’esperienza che di ordinario non ha nulla. Serge François, 64 anni, è il sessantottesimo miracolato «ufficiale» di Lourdes, anche se la parola «miracolo» alla Chiesa non piace più. Così il vescovo di Angers, Emmanuel Delmas, parla di carattere «remarquable» della guarigione. Sottigliezze canonistiche a parte, un bel giorno del 2002, per la precisione il 12 aprile, monsieur François, che aveva perso l’uso di una gamba, ha vissuto «qualcosa» a Lourdes. Dopo, si è messo a camminare così bene che cinque anni dopo ha fatto, a piedi, i 1600 chilometri del pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Guarigione inspiegabile per la medicina. Ma la Chiesa per certificarla ci ha messo il suo tempo, fra inchieste, esami medici, analisi e controanalisi. Sicché la dichiarazione ufficiale di monsignor Delmas è arrivata il 27 marzo scorso, nove anni dopo il fatto. Però, signor François, possiamo chiamarlo miracolo? «E chiamiamolo miracolo. Del resto, lo è». Quel che colpisce è il contrasto fra un’esperienza che più straordinaria non si può e l’assoluta normalità di chi l’ha vissuta. Il miracolato della porta accanto vive a La SalleAubry, paesello di 1300 persone sperduto in quel Grande Vuoto che è la Francia fuori da Parigi. La città più vicina, a 40 chilometri, è Angers, Ovest cattolico, ai confini con la Vandea cattolicissima. François abita in una normale villetta arredata normalmente con oggetti di normale cattivo gusto (ebbene, sì: il miracolato in giardino ha i nanetti di Biancaneve), è pensionato, faceva un lavoro normale, installatore tivù, e ha una famiglia normale: tre gatti, moglie, tre figli e sette nipoti. Gatti a parte, tutti credenti e praticanti. E questo invece, in un Paese dove va a messa solo il 15% dei francesi, non è normale affatto. Eppure, in questa tranquilla banalità, il fatto eccezionale. Arrivato, è vero, dopo un lungo calvario che inizia nel ‘93, con i dolori alla schiena e due operazioni, una delle quali va male. Nel ‘97, François è un invalido. Perde in pratica l’uso della gamba sinistra, vive con una pompa che gli inietta morfina e medita il suicidio. Ma, appena riesce ad alzarsi, va a Lourdes. Anzi ci torna: «L’ho sempre fatto. Era un’usanza di famiglia, i miei erano devoti». Quel famoso giorno, le stranezze si susseguono, anche se François le racconta con la stessa enfasi di uno che legge la lista della spesa. E allora ecco il «frisson», il brivido che lo attraversa, e lui pensa: «Ho preso un colpo di freddo». Ecco l’improvvisa voglia di tornare nottetempo alla grotta per pregare ancora, «nonostante camminassi a fatica, dovevo farlo». Ecco la strana impressione di una «presenza» nel corridoio dell’albergo e l’ascensore che si apre da solo: «Ho chiesto spiegazioni al portiere di notte, mi ha detto: “Sa, qui siamo a Lourdes”. E ho pensato: questo si prende gioco di me». Poi, la grotta, in ginocchio dove pregava Bernadette. «Lì sono stato preso da una vertigine, tutto girava, mi sono sentito trasportare in un altro mondo. E così bello che avrei voluto restarci. Mi sono ripreso, sono andato alla fonte e ho bevuto. E lì ho sentito un dolore folgorante alla gamba, così forte che credevo si staccasse. Sono caduto a terra, mi hanno risollevato. E ho sentito alla gamba, che era sempre così fredda, una sensazione di calore. Sono tornato in albergo camminando senza problemi. Non pensavo al miracolo. Mi dicevo: domani mi sveglierò e sarà come sempre». E invece 15 giorni dopo ripitturava la casa sotto lo sguardo meravigliato dei vicini. «A chi chiedeva spiegazioni, dicevo che la medicina fa progressi». Già, mediomen è un uomo discreto: riceve i giornalisti perché è gentile, ma si capisce che la notorietà non gli garba e vorrebbe tornare all’anonimato, alla sua vita normale e devota, la cura del giardino, il rosario con la moglie, le visite dei nipoti, la cura della piccola cappella di fronte a casa. Ma si sarà chiesto perché proprio a lei? «Me lo chiedo ancora. Ma non ho risposte. Né so cosa dire a chi non crede. Mi dispiace per lui e basta». Salute a parte, la sua vita non è cambiata: «Ricevo molta posta. E mi sono impegnato di più nella vita della chiesa, i sacerdoti scarseggiano, c’è da fare per tutti. Ma per il resto, tutto normale». Appunto. *** Perché la Chiesa ha mille cautele - E’ il «Bureau Medical» a vagliare le guarigioni accadute a Lourdes, poi è il vescovo della diocesi d’appartenenza del miracolato a certificare e annunciare l’avvenuto riconoscimento. Anche lo scrittore anticlericale Émile Zola fu testimone a Lourdes nel 1892 di due guarigioni istantanee. Il «tribunale dei miracoli» ha regole rigidissime. In primo luogo si procede alla compilazione di un dossier, usando le certificazioni dei medici curanti dei pazienti, in cui sono indicate le loro condizioni al momento della partenza per Lourdes, la natura, la durata dei trattamenti praticati. La seconda fase è l’esame al «Bureau Medical»: i medici presenti a Lourdes al momento della guarigione vengono convocati per esaminare il «guarito» e devono comportarsi esattamente come nella pratica sanitaria quotidiana lasciandosi guidare dai fatti come davanti ad un malato ordinario. La documentazione passa, quindi, al Comitato medico internazionale di Lourdes, formato da una trentina di medici di varia nazionalità, anche atei. Si riunisce a Parigi una volta all’anno per pronunciarsi collegialmente sulle guarigioni precedentemente riconosciute dal Bureau Medical di Lourdes. Ogni caso è affidato all’esame di un esperto che completa una relazione poi discussa dal Comitato, che la può accettare, aggiornare o respingere. Infine scende in campo la commissione canonica, incaricata di esaminare il presunto miracolo sul piano medico e religioso: è costituita dal vescovo della diocesi di cui è originaria la persona guarita, propone a lui le sue conclusioni sul carattere soprannaturale della guarigione e riconosce l’intervento divino. La decisione finale spetta al vescovo che solo può pronunciare il giudizio canonico riconoscendo «miracolosa» la guarigione. Provare l’autenticità di un fatto prodigioso, dunque, richiede una rigorosa procedura d’inchiesta e un meticoloso esame scientifico e teologico. La Chiesa cattolica considera un miracolo quel fatto che supera le forze della natura, operato da Dio fuori dell’ordinario del creato. GIACOMO GALEAZZI