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 2011  maggio 09 Lunedì calendario

L’ULTIMO NAZISTA

«Imputato Sandor Kepiro, per rispetto alla sua età e alla sua salute non le chiedo di alzarsi, si sieda davanti a me. Apro il dibattimento contro di lei per l´eccidio di Novi Sad». Il giudice Bela Varga, paffuto e gioviale come un giovane Orson Welles, apre così la seduta nell´aula numero uno del tribunale centrale di Budapest, al secondo piano del vecchio palazzo di giustizia asburgico al numero 70-78 della splendida Fo Utca. «Sì, la capisco, la sento col mio auricolare», balbetta l´imputato. 97 anni ben portati, debolissimo ma elegante e presente, distintivi e decorazioni della Magyar Kiralyi Csendorség, la gendarmeria di Horthy, sul bavero della giacca. È cominciato così, l´altro giorno nella bella Budapest illuminata dal sole di tarda primavera, l´ultimo processo a un presunto criminale nazista.
È cominciato così, l´altro giorno nella bella Budapest illuminata dal sole di tarda primavera, l´ultimo processo a un presunto criminale nazista. Kepiro era il primo nella lista del centro Wiesenthal, solo le indagini del suo dirigente, Efraim Zuroff, hanno portato alla sua cattura e al processo. E oltre sessant´anni dopo la disfatta dell´Asse, è qui nella magnifica capitale sul Danubio inondata dal sole di primavera che, come in una post-Norimberga, l´Europa rifà per l´ultima volta i conti con la sua Storia di complice dell´Olocausto.
Sala austera, scranni in vecchio legno come in un´università decaduta, e per l´imputato una semplice sedia in legno con braccioli e il microfono davanti. Comincia così l´appendice di Norimberga. Kepiro arriva portato a spalla da parenti e amici, sembra non farcela a camminare. Quando entra in aula (la seduta è pubblica), una ventina di neonazisti ungheresi in uniforme scattano sull´attenti, vogliono salutarlo come il loro eroe. Fuori, attivisti della comunità ebraica lo accolgono in un altro modo: le stelle gialle sul petto, e cartelli: "Come fai a dormire tranquillo?". Due visioni della Memoria si confrontano, nella vecchia aula numero uno di Fo Utca.
La Memoria tramandata dai rapporti dell´Intelligence service britannico è atroce. Era il 23 gennaio 1942, l´Ungheria del dittatore antisemita Miklos Horthy era dall´inizio alleata entusiasta dell´Asse. Partecipò all´aggressione contro la Jugoslavia, occupò territorio jugoslavo e lo annesse, come "parte millenaria del suolo magiaro". C´era anche la città di Novi Sad, melting pot balcanico della convivenza tra serbi, croati, magiari, ebrei. All´attiva, efficace resistenza dell´Avnoj, l´esercito partigiano di Tito, gli occupanti ungheresi reagirono con una rappresaglia brutale. «Pulizia etnica e politica, ripulire Novi Sad da rifiuti e spazzatura», era l´ordine venuto dall´alto. Gendarmi e soldati pattugliarono ovunque, Kepiro era capitano della Csendorség. «Mi arruolai volontario per dovere patriottico, non per soldi», assicura. In aula è stanco, sbadigliante ma attento e sveglio. Sul vecchio vestito grigioverde spuntano sul bavero i distintivi e le decorazioni della Gendarmeria, guadagnati sul campo.
«Imputato, può sentirmi? Le leggerò i capi d´accusa», scandisce il giudice Varga. «Sì…sì, la sento», risponde il vecchietto alla sbarra. Con una mano si spinge il microfono auricolare nell´orecchio, con l´altra si stringe il pannolone anti-incontinenza tipico degli anziani arrivati a un´età cui le vittime di Novi Sad non giunsero. Tossisce, serra i braccioli della sedia con le mani rugose, ha un tremito ai piedi coperti da vecchie belle scarpe fatte a mano, l´ex capitano Kepiro, mentre il giudice legge i resoconti. Zsolt Falvai, il giovane pubblico ministero, ascolta impassibile. «Voi gendarmi e i militari arrivaste a Novi Sad decisi a eseguire gli ordini. Chiedeste ordini scritti ma agiste comunque», dice il giudice. «Sì, la sento", replica Kepiro grattandosi il naso rugoso.
L´operazione iniziò all´alba. Gendarmi e soldati ungheresi rastrellarono ogni strada, avevano in tasca liste nere stilate con precisione, da Budapest e dalla Gestapo. «Io ubbidii semplicemente agli ordini, io non uccisi nessuno», assicura Kepiro parlando tremante. Testimoni lo accusano di aver fatto caricare di persona almeno 30 civili su un camion, verso il Centro di raccolta e interrogatori. Là venivano portati, anche se identificati prima dai gendarmi. Poi si proseguiva verso le rive del Danubio. «Era un inverno duro, venti o trenta gradi sotto zero», legge ancora il giudice. «Mi sente, imputato?». «Sì, a fatica», mormora il vecchietto con i distintivi nazionali sul liso abito elegante.
Vennero in corsa granatieri e artiglieri magiari ad aprire falle sul Danubio ghiacciato, come in memorabili sequenze raccontò il grande Miklos Jancso, il padre del cinema ungherese moderno, in Hideg Napok, i giorni freddi: buchi nel ghiaccio per gettare nell´acqua gelida donne, vecchi e bambini. Moribondi dopo un colpo alla nuca ma spesso ancor vivi, milleduecento e oltre.
«Io fui solo un patriota, non uccisi mai nessuno, salvai anche persone come una famiglia intera», si difende il vecchietto tremando sulla sua sedia d´imputato. Alcuni suoi seguaci, vecchi nostalgici, lo attorniano nella pausa, gli portano da bere, gli regalano vecchi giornali d´epoca della gendarmeria di Horthy. Una giovane bionda sexy dell´ultradestra, jeans aderenti, stivali tacco a spillo e t-shirt che lascia l´ombelico scoperto, si avvicina e lo carezza. Il difensore, avvocato Zsolt Zétényi, ci parla: «Lui è innocente, non ci sono prove. La gendarmeria era un´istituzione rispettata. E la Vojvodina era storicamente ungherese da secoli. E poi combattevamo contro i bolscevichi di Tito. Zuroff dovrebbe capire che il suo accanimento contro il mio cliente può danneggiare i rapporti tra ebrei e non ebrei».
L´avvocato Zétényi parla duro e chiaro, sotto la toga da seduta indossa un costume tradizionale, simbolo nazionalista come le uniformi nere che i giovani ultrà sfoggiano sui banchi del pubblico con addosso badge delle croci frecciate, della Guardia magiara e della "Resistenza nazionale magiara". In strada quando ti riconoscono come giornalista si fanno avanti minacciosi, ti chiedono «da dove vieni a parlar male della nostra patria», e devi rispondere loro God save the Queen o God bless America per fermarli, non puoi aspettare una polizia assente.
«Lei eseguì ogni dettaglio dell´operazione», insiste il giudice. «Eseguii solo gli ordini», replica l´imputato tremando. «Poi lo stesso governo ungherese ci processò perché in cambio d´un processo sul massacro offrì trattative a Londra». Troppo tardi: armi e istruttori del Regno Unito consentirono a Tito di resistere all´Asse. Nel 1945 Budapest cadde in mano all´Armata rossa. L´Ungheria non ebbe né un Badoglio né un congiurato anti-Hitler come von Stauffenberg a Berlino. Kepiro riuscì a scappare in Austria, poi in Argentina. Nel 1996, sentendosi sicuro, tornò a Budapest. «Finalmente rividi la patria», disse. Era un vecchietto tranquillo, dicevano i vicini, «cucinava così bene il pollo alla paprika per tutti». Abitava in un appartamentino davanti a una sinagoga. Efraim Zuroff che l´ha scovato riceve ogni giorno e-mail minatorie da neonazisti amici di quei giovanotti in nero all´entrata del tribunale: «Zuroff, non mettere più piede sul sacro suolo magiaro se tieni alla tua pelle». E l´altro giorno, manifestanti dell´ultradestra hanno bruciato in piazza bandiere israeliane. La polizia del governo nazionalconservatore di Viktor Orban, sempre vigile contro media e magistrati, non ha mosso un dito contro quel rogo.