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 2011  maggio 09 Lunedì calendario

EUROPA A TUTTO DOP. PER VOCEARANCIO


Narra la leggenda che Adelasia, la moglie di Ruggero il Normanno, re di Sicilia Puglia e Calabria nell’XI secolo d.C., fosse una regina depressa. Finché il re, conoscendo la passione di sua moglie per i formaggi, incaricò i casari siciliani di preparare un formaggio che ridesse animo ed energia alla sovrana. Quelli della città che oggi si chiama Enna e che allora si chiamava Castrogiovanni misero nel pecorino pepato tipico della zona dello zafferano, fiore famoso per sue proprietà stimolanti ed energizzanti. Quel formaggio tolse la tristezza dal cuore della regina. Circa un millennio dopo, lo scorso febbraio, il pecorino pepato allo zafferano di Enna, il Piacentinu Ennese, ha ottenuto la qualifica Dop ed è stato il millesimo prodotto iscritto nel registro europeo delle specialità territoriali.

Con i prodotti registrati tra marzo e aprile il traguardo storico di quota mille è stato lasciato alle spalle. Oggi sono 1.021 i prodotti alimentari europei certificati: 511 Dop, 474 Igp e 36 Stg. L’Italia, culla del buon mangiare, domina la lista. Con 142 Dop, 83 prodotti e 2 Stg, il Belpaese ha un quinto degli alimenti tutelati in Europa e un terzo dei prodotti Dop, quelli più "preziosi". La Francia, con 81 Dop e 102 Igp insegue, incalzata dalla Spagna, che ha 78 Dop, 67 Igp e 3 Stg.

Dop, Igp, ma anche Doc, Docg, Igt, sono sigle con cui abbiamo una certa familiarità. Facile incontrarle ogni giorno, al supermercato, al ristorante, ormai anche in certi fast-food. Tutti sanno che sono “garanzie”, ma non tutti conoscono il loro reale significato.

La sigla Dop è quella più conosciuta. Significa "denominazione di origine protetta". Sono Dop quei cibi che vengono prodotti ed eventualmente trasformati ed elaborati in un’area geografica determinata. Le loro caratteristiche derivano dal loro territorio di produzione, dall’inizio alla fine del processo produttivo: l’ambiente geografico ha un preciso clima e precise caratteristiche ambientali che, combinate con fattori umani (ad esempio particolari tecniche di produzione che si tramandano da secoli) rendono quel prodotto inimitabile e non replicabile in un’altra zona del pianeta.

Igp sta per "indicazione geografica protetta" e identifica quei prodotti che abbiano una qualità, una reputazione o un’altra caratteristica che dipende dall’origine geografica, o che hanno solo un particolare tipo di trasformazione ed elaborazione legati a una certa area. La differenza con il Dop, quindi, è che solo una parte della produzione è legata a un’area geografica determinata.

L’esempio forse più famoso di Igp è quello della Bresaola della Valtellina, che viene prodotta molto spesso con carne di zebù, un bovino sudamericano. La tipicità del prodotto non è la carne in sé, ma la sua lavorazione, che segue regole particolari frutto di secoli di tradizione valtellinese. Ci sono testimonianze storiche che dimostrano come in Valtellina facessero la bresaola già nel XV secolo d.C.

All’inizio i prodotti Dop e quelli Igt avevano marchi dello stesso colore. Per evidenziare la differenza il marchio Dop è stato reso giallo-e rosso, quello Igt è invece giallo-blu.

Stg sta per "specialità tradizionali garantite". È la sigla meno conosciuta, e anche quella meno pregiata. Designa un prodotto la cui composizione è tipica e che ha un metodo di produzione tradizionale. Ma non c’è un’origine territoriale precisa, e quindi possono essere prodotti in zone diverse. Infatti sono marchi che non sono registrati, ma sono tutelate con legge apposite.

Le due Stg italiane: la Pizza Napoletana (tra le regole, attenzione, è previsto che non abbia un diametro superiore ai 35 centimetri, che la parte centrale sia spessa circa 4 millimetri e il bordo sia spesso tra gli 1 e i 2 centimetri) e la mozzarella, che può essere prodotta dovunque in Europa. La tutela della pizza è stata affidata all’Associazione Pizzaiuoli napoletani, quella della mozzarella all’Associazione italiana lattiero-casearia.

Il pecorino romano, che viene prodotto nel 90% dei casi con latte sardo. Infatti l’area di produzione del formaggio che il nome induce a considerare legato alla Capitale comprende tutto il Lazio, tutta la Sardegna e tutta la provincia di Grosseto (e la regione toscana ha ideato un logo apposito per identificare il pecorino romano che arriva da questa città). Il nome “romano” è stato scelto soprattutto per ricollegare il formaggio alle sue antichissime origini. Si sa che ne facevano uso i soldati romani, tanto che fu stabilita anche la razione giornaliera da dare ai legionari, come integrazione al pane e alla zuppa di farro: 27 grammi.

Il procedimento per il riconoscimento europeo di un prodotto tipico è lungo e complesso. Si parte da un’associazione – quasi sempre un consorzio formato dall’insieme dei produttori o dei trasformatori – che presenta domanda di registrazione all’organismo competente e agli enti locali: nel nostro Paese sono il ministero per le Politiche agricole, alimentari e forestali, la Regione o la Provincia autonoma.

La domanda deve identificare il prodotto da registrare, deve delimitarne l’area geografica di produzione, descriverne il metodo di ottenimento e quindi portare elementi che giustifichino il legame fra la qualità e le origini geografiche del prodotto. Il risultato è il "disciplinare produttivo", che fissa le regole che consentono a un determinato prodotto di fregiarsi del marchio territoriale.

Dalla domanda per il riconoscimento di un marchio di garanzia devono emergere numerosi elementi: il fatto che il prodotto per il quale si chiede il riconoscimento presenta almeno una caratteristica qualitativa che lo differenzia da prodotti dello stesso tipo ottenuti in un’altra area; una relazione storica che comprovi la produzione da almeno 25 anni, anche non continuativi e l’uso consolidato della denominazione di cui si richiede la registrazione; una relazione socio-economica, con informazioni su prodotto e struttura produttiva, quantità prodotta attuale, potenzialità produttiva del territorio, numero di aziende coinvolte, destinazione geografica e commerciale del prodotto, domanda attuale del prodotto e previsione di medio termine.

Ricevuta la domanda, la Regione o la provincia autonoma entro 120 giorni esprime il suo parere sulla domanda e lo trasmette al ministero. I tecnici del ministero verificano anche che chi ha fatto domanda sia titolato a farlo (deve rappresentare effettivamente il sistema produttivo che sta dietro al prodotto). Se tutte le verifiche hanno esito positivo il ministero trasmette all’associazione e agli enti locali il disciplinare di produzione nella stesura finale e alla fine ne esce un testo unico che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Dopo un mese dalla pubblicazione, se non arrivano osservazioni (in quel caso il ministero convoca una riunione con la Regione, l’associazione e i soggetti che abbiano presentato le osservazioni e quindi prende la sua decisione) la proposta viene trasmessa alla Commissione Europea.

I tempi per l’approvazione da parte di Bruxelles possono arrivare fino a dodici mesi. Una volta ricevuto il disciplinare, la Commissione lo pubblica nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Entro sei mesi dalla pubblicazione, ogni Stato membro o Paese terzo ha diritto ad opporsi alla registrazione proposta presentando alla Commissione le proprie motivazioni. In mancanza di obiezioni, la Commissione Europea registra, con regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, il nome del prodotto protetto.

A quel punto il prodotto è registrato, e viene costituito e reso operativo il Consorzio di Tutela del prodotto, cioè l’organo di rappresentanza dei produttori, e attivato il sistema di certificazione del prodotto a cura dell’ente terzo dichiarato all’atto della domanda di registrazione. Un’eventuale modifica del disciplinare di produzione potrà essere richiesta solo dal Consorzio di tutela riconosciuto o, in sua assenza, da soggetti che rappresentino “almeno il 51% della produzione controllata/certificata, nonché una percentuale pari almeno al 30% delle imprese coinvolte nella produzione”.

Il sistema di registrazione non è diverso da quello che l’Italia aveva introdotto per i vini negli anni Settanta (presto imitata da Francia e Spagna), con i marchi Doc (denominazione di origine controllata), Igt (Indicazione geogracia tipica) e Docg (denominazione di origine controllata e garantita). Sigle, queste, che dal 2009 l’Ue ha voluto accorpare a quelle dei prodotti alimentari: anche i vini, quindi, saranno Dop e Igp. Anche se la legge consente ancora ai produttori di utilizzare il vecchio sistema di echiettatura.

I vini Docg sono vini Doc da almeno 5 anni che siano di particolare pregio. Hanno un livello di controllo superiore, compresa la fascetta della Zecca di Stato con numero di serie alfanumerico bottiglia per bottiglia.

Nel sistema di protezione europea stanno entrando anche prodotti quantomeno particolari. Come il Loukomi Geroskipou, unico prodotto registrato che proviene da Cipro, classificato come Igp. È un cubetto gelatinoso insaporito con degli aromi (come rosa, mandarino, o menta) che può essere arricchito con mandorle e miele (questi due ingredienti però devono essere prodotti nella provincia cipriota di Pafos). Lo si produce in grandi caldaie munite di miscelatore. Lo ha inventato Sophocles Athanasiou nel 1895 e oggi i suoi discendenti lo continuano a produrre nello stesso luogo e con lo stesso metodo. Chi lo ha assaggiato dice che è davvero dolcissimo.

Poi c’è chi imbroglia. Secondo i calcoli di Coldiretti il falso cibo Made in Italy vale, tra inganni e sotterfugi, 60 miliardi di euro. Gli allevatori dicono che due prosciutti su tre venduti come italiani sono ottenuti da maiali allevati all’estero; tre cartoni di latte (a lunga conservazione) su quattro sono stranieri; un terzo della nostra pasta è fatta di grano importato; il 50% delle mozzarelle derivano da cagliate o latte straniero mentre l’ italianissima pummarola è piena di pomodori cinesi, dato che l’anno scorso abbiamo importato 100 milioni di chili di pomodoro cinese.

Le 15 mila cosce di maiale in arrivo da Olanda, Danimarca e Germania che Coldiretti ha individuato al Brennero e al Frejus la scorsa estate. Alcuni carichi erano destinati a Langhirano, la patria del crudo di Parma, a Modena, dove si fa il cotechino, a Como. Verso Vicenza, la città dell’Asiago, e Novara viaggiavano invece copiose derrate di formaggio.

L’ultimo prodotto registrato come Dop dall’Unione Europea, lo scorso è la mela greca Φιρίκι Πηλίου (Firiki Piliou). Piccola, dalla forma cilindrica allungata, giallo verde con riflessi rossi intensi, la Firiki Piliou è poco acida e molto zuccherosa, ha una fragranza particolare e intensa. Si coltiva nella regione montuosa del Pelio.

Gli ultimi prodotti italiani finiti nella lista sono la Farina di Castagne della Lunigiana Dop e la Formaggella del Luinese Dop. L’unico prodotto rumeno ad avere una qualifica tipica (è un Igp) è il Magiun de prune Topoloveni Igp, una pasta omogenea a base di prugne priva di grumi o resti di bucce, dal colore marrone scuro.