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 2011  maggio 07 Sabato calendario

LE ROMANE SON PIU’ BELLE

«Mi chiedi novità sulle romane. Sono le donne più belle che io conosca in tutto il mondo». Così scriveva in una lettera datata ottobre 1826 il giovane Jean-Baptiste-Camille Corot. Bellissimo è il suo «Ritratto di ragazza italiana» che si può vedere nella mostra «100 capolavori dallo Stadel Museum di Francoforte» aperta fino al 17 luglio al Palazzo delle Esposizioni. Il quadro, ad olio su tavola, fu eseguito dall’ artista francese nel 1870 e vi si percepisce tutta la nostalgia per il paese visitato in gioventù. Il viso della ragazza, contornato dalle tinte tenui degli ocra e dei bruni, illuminato da una luce delicata, è immerso nei propri pensieri, lo sguardo perso in una specie di sogno. Tra i settanta artisti presenti nella rassegna, Corot non è l’ unico ad aver vissuto a Roma e ad averla eletta a ideale artistico. Lo ha notato Emmanuele Emanuele, presidente del Palaexpo, che ha colto al volo l’ occasione della chiusura per restauri del prestigioso museo di Francoforte e la conseguente disponibilità delle opere, per proporre nella capitale un assaggio della straordinaria collezione raccolta nella seconda metà del Settecento dal banchiere Johann Friederich Stadel. «Abbiamo scelto la sezione riferita all’ ’ 800 e al ’ 900 - dice Emanuele - perché costituisce un formidabile panorama sull’ intera storia dell’ arte europea nel suo affascinante percorso verso la modernità. Questo giudizio è stato spesso indebolito da visioni troppo semplificatrici, riferite esclusivamente al ruolo avuto dalla Francia nella rivoluzione dei canoni estetici, mentre è importante anche l’ apporto della cultura germanica, nel suo nesso fortissimo con il mondo classico e dunque con l’ Italia». Nella Penisola gli artisti del Nord calavano a frotte, in cerca di una libertà artistica impedita in patria dalle rigide regole accademiche. Non a caso l’ esposizione, che spazia dai Nazareni ai Romantici, dal Realismo all’ Impressionismo, dal Simbolismo alle Avanguardie, si apre con il celeberrimo ritratto di Goethe eseguito da Tischbein, il pittore che nel 1786 ospitò il poeta tedesco nella sua casa-atelier in via del Corso 18, nelle stesse stanze che oggi accolgono il museo Casa di Goethe. È il poeta stesso a raccontare come nasce il quadro. «Mi ero già accorto che Tischbein mi osservava sovente con attenzione, e ora si scopre che vuole dipingere il mio ritratto. Vi figurerò a grandezza naturale in veste di viaggiatore, avvolto in un mantello bianco, seduto all’ aperto su un obelisco rovesciato, nell’ atto di contemplare i ruderi della Campagna romana in lontananza. Ne verrà un bel quadro, solo che sarà troppo grande per le nostre case nordiche». Goethe si ritrovò a vivere in mezzo a una folta comunità di artisti tedeschi, che si muovevano tra le antichità del centro e le vedute della campagna circostante. Molto ambite erano le cascate di Tivoli. Il poeta le visitò accompagnato dal paesaggista Jacob Philipp Hackert. Una trentina di anni più tardi Carl Philipp Fohr le raffigura in una grande tela (visibile in mostra), realizzata interamente a palazzo Galoppi alle Quattro Fontane, nell’ atelier del maestro Josef Anton Koch, la cui concezione neoclassica fu un modello per i Romantici. In mostra, il suo «Paesaggio con il ratto di Hylas», che ritrae un luogo romano reale: la valle della ninfa Egeria, alla Porta di San Sebastiano. Nel convento di Sant’ Isidoro vivevano invece, in stile monacale, un gruppo di giovani pittori tedeschi che si ispiravano ai dipinti a tema religioso di Raffaello e Dürer e furono chiamati Nazareni per via dell’ abbigliamento semplice e dei lunghi capelli che ricordavano i discepoli di Gesù. Nel percorso dell’ esposizione - che presenta straordinari Delacroix e Courbet, van Gogh e Cézanne, Munch e Moreau, Picasso e Sisley, Renoir e Rodin, Monet e Degas, Matisse e Beckmann, Ernst e Klee e tanti altri ancora - ci sono tuttavia due quadri che meritano una sosta. Uno è il «Ritratto di donna romana in tunica bianca e manto rosso», dipinto intorno al 1862 da Anselm Feuerbach, artista che aveva eletto la Città Eterna a seconda patria. Qui conobbe Arnold Böcklin e insieme a lui divenne uno dei maggiori rappresentanti del rinnovamento classico della seconda metà del secolo. L’ ideale classico di bellezza lo trovò in questa donna, incarnata da Anna Risi detta Nanna, che aveva un volto armonioso, dall’ aspetto androgino e dallo sguardo ombroso e contemplativo. L’ altro quadro, «Ritratto di donna su un tetto di Roma», fu dipinto da Max Klinger nel 1891. Presenta una figura femminile seduta in terrazza, severa e assorta in se stessa. Sullo sfondo, il vasto cielo e i tetti della città avvolti nella calma luce della sera. Apparteneva a Walter Rathenau, imprenditore della società AEG. Nel 1900, l’ amico pubblicista Maximilian Harden gli mandò una lettera: «Quello che invidio del Klinger siete Voi. Ogni domenica, dopo il caffè, dovreste sedervi un quarto d’ ora lì davanti e dimenticare che c’ è una AEG».
Lauretta Colonnelli