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 2011  maggio 03 Martedì calendario

RICORDI D’EPOCA IN GHISA, L’IMPREVEDIBILE LEGGEREZZA

Nel 1896, il consiglio comunale di Roma era impegnato in un dibattito molto acceso: quale soluzione adottare per la nuova illuminazione elettrica degli spazi pubblici? Alla fine si decise di bandire un concorso per la progettazione di un palo da sostegno, da utilizzare nelle linee più importanti. Il concorso fu vinto da Duilio Cambellotti, che a quel tempo frequentava ancora il corso serale del Museo artistico industriale. Il giovanissimo artista si impegnò a fondo, producendo una gran quantità di schizzi e disegni prima di arrivare al modello finale, che prevedeva un palo in ghisa, a base circolare, con decorazioni ispirate alle esperienze mitteleuropee e al gusto Liberty. La base era decorata con due corone di alloro intrecciate con nastri e perle e quattro teste di lupa. La colonna era avvolta da elementi vegetali e da un bassorilievo raffigurante menadi danzanti che si tengono per mano, i cui capelli terminano con frecce acuminate, simbolo del trionfo dell’ elettricità. Questi disegni, conservati fino a qualche mese fa presso l’ Archivio Cambellotti, sono stati acquistati dalla Fondazione Neri per il Museo italiano della ghisa di Longiano e ora si possono vedere per la prima volta nella mostra «L’ imprevedibile leggerezza della materia», dedicata all’ arte della ghisa tra Ottocento e Novecento. Curata da Raffaella Bassi, Cesare Biasini Selvaggi e Maia Grazia Massafra, la singolare esposizione resta aperta alla Casina delle Civette (Villa Torlonia) fino al 25 settembre e documenta con una trentina di oggetti l’ impiego della ghisa, il significato iconografico dei suoi motivi decorativi e la sua fortuna nell’ arte applicata a cavallo dei due secoli, sia nell’ arredo urbano che in quello domestico. Una carrellata di lampioni, ringhiere, fontanelle, vasi, portaombrelli, carboniere, maniglie per portoni e del loro straordinario repertorio ornamentale fatto di statue ed elementi floreali, leoni alati e draghi, teste di dame e guerrieri. Nella Dipendenza, attraverso installazioni e tavole didattiche, viene illustrato il processo di produzione di questi manufatti e si possono vedere alcuni cataloghi delle più importanti fonderie attive in Europa tra Ottocento e Novecento. Chi volesse invece sapere come andò a finire la storia dei lampioni progettati da Cambellotti, (il quale tra l’ altro è autore di molte delle vetrate che abbelliscono la Casina delle Civette), deve fare un salto alla Centrale Montemartini, dove sono stati posti negli anni scorsi, dopo un accurato restauro, a decoro della facciata. L’ intera vicenda, dal 1896 a oggi, è raccontata da Massafra nel catalogo. Cambellotti, una volta terminati i disegni, eseguì i modelli in gesso e si recò a Firenze per far realizzare dalla bottega «La casa artistica» di Mariano Coppedé il modello in legno per le fusioni in ghisa, che sarebbero avvenute, sempre a Firenze, nella Fonderia del Pignone. Il costo dei grandi candelabri alla fine risultò talmente elevato (72mila lire) che vennero fusi in numero limitato. Alcuni furono collocati nella piazza di Traiano e successivamente in via Cavour, al centro della strada. Nel 1909, essendo aumentate le esigenze del traffico, furono rimossi e sistemati in piazza Cavour davanti al Palazzo di Giustizia. Vi restarono fino agli anni Sessanta, quando vennero sostituiti dai nuovi apparati di illuminazione e rinchiusi nei magazzini dell’ Acea, fino ai recenti restauri.
Lauretta Colonnelli