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 2011  maggio 09 Lunedì calendario

IL CONTO SALATO DELLE GUERRE

In genere, le guerre esplodono d’un tratto e per qualche tempo finiscono sotto i riflettori del mondo. Poi la luce si spegne e scompaiono dalla ribalta per mesi, a volte anni. Ci si scorda che in un Paese si sta combattendo, ma la contabilità del conflitto avanza inesorabile. Il numero dei morti, la conta dei feriti, ma anche i costi vivi e i danni all’economia: tutto cresce col tempo. Il Sole-24 Ore ha provato a riaccendere le luci sugli scontri in corso esaminandone la tragica contabilità. Ottenendo risultati eclatanti: in tutto, le persone che hanno perso la vita dall’avvio dei conflitti in corso sono oltre 1,6 milioni (elaborazione su dati Peace Reporter). E i costi diretti raggiungono la cifra-record di circa 1.700 miliardi di dollari.

Tanto per avere un ordine di grandezza, si possono confrontare i costi di altri conflitti passati. Secondo l’elaborazione del Centro per gli studi strategici e internazionali americano, la Grande guerra è costata agli Stati Uniti 253 miliardi di dollari, quella del Vietnam 686 miliardi, la Seconda guerra mondiale oltre 4.100 miliardi. Ciò significa che nella storia contemporanea, già ora i conflitti in Iraq e Afghanistan balzano rispettivamente al secondo e al quarto posto per i costi sostenuti (considerando anche l’apporto degli alleati degli Usa, 900 miliardi di dollari nel primo caso e 550 miliardi nel secondo).

Anche se si tratta di cifre enormi, il valore reale dei danni potrebbe essere ancor più elevato. E di molto. Le stime indicate nella tabella, infatti, comprendono la parte delle spese militari sostenute dall’inizio del conflitto dai singoli Paesi imputabile direttamente alla guerra, in qualche caso il sostegno dato da Paesi stranieri e poco altro. È evidente, però, che esiste un grande cono d’ombra, non calcolabile con precisione, che nasconde valori ingenti. Un rapporto di Oxfam (un’Ong britannica) di qualche tempo fa, ad esempio, ha provato a valutare gli effetti sullo sviluppo economico dei Paesi africani coinvolti negli scontri. Risultato: ogni anno i conflitti armati bloccherebbero la crescita del Pil in media del 15% nei paesi coinvolti.

Ci sono poi i tanti costi classificati come "indiretti", ma almeno in parte imputabili alle guerre. Cercando di valutare gli effetti del conflitto iracheno sul budget statale e l’economia Usa, Joseph Stiglitz e Linda Bilmes hanno sostenuto sul Washington Post che i costi superano certamente i 3mila miliardi di dollari. Per arrivare a questa cifra hanno valutato, tra l’altro, di quanto sarebbe salito il prezzo del petrolio senza questa guerra, quanto ha pesato sul debito pubblico Usa e quanto ha influito sull’ultima crisi economico-finanziaria.

In ogni caso, anche se le guerre in Iraq e Afghanistan pesano moltissimo nella valutazione globale dei conflitti in corso – sia per numero di vittime, sia per costi economici –, non si possono tralasciare altre guerre, in alcuni casi assai onerose. Come quella in Colombia tra il governo centrale e i gueriglieri d’ispirazione marxista, che dal 1964 ha causato 300mila vittime e pesato sulle casse del Paese per oltre 35 miliardi di dollari. O come i continui scontri nel Darfur, dove la lotta tra i membri del "National Redemption Front" e il regime del presidente al-Bashir e le milizie arabe dei Janjaweed ha causato 300mila vittime dal 2003 e danni per almeno 3 miliardi. Oppure, ancora, la guerriglia che coinvolge i narcotrafficanti messicani, che solo nel 2010 ha ucciso 12.500 persone (più che in Afghanistan) con un costo di circa 15 miliardi di dollari dal 2006.

Tra le guerre più dispendiose, va ricordata quella israelo-palestinese, costata oltre 7mila vittime e 30 miliardi di dollari dall’inizio della seconda Intifada, nel settembre 2000, e probabilmente molto di più considerando anche i ripetuti scontri dal 1948, quando nacque lo Stato ebraico. Un altro conflitto che ha divorato 45mila morti e una montagna di denaro (tra 30 e 40 miliardi di dollari) è quello tra il governo turco e la minoranza indipendenstista curda. La stima considera il periodo dal 1984 a oggi, ma la tensione risale agli accordi di pace seguiti alla Grande guerra, quando i curdi furono smembrati tra Turchia, Iraq, Iran e Siria.

L’analisi dei dati relativi al conflitto in Kashmir richiede particolare attenzione. Se da un lato è vero che le risorse impiegate dal governo indiano dal 1989 a oggi sono cospicue (circa 40 miliardi di dollari), è vero anche che le autorità indiane paiono allentare la morsa. Lo scorso gennaio, infatti, il sottosegretario agli Interni, Gopal Krishna Pillai, ha annunciato il taglio del 25% delle truppe nella regione. Il Kashmir, va ricordato, è conteso da India e Pakistan da oltre mezzo secolo e da più di una ventina d’anni è in preda a una ribellione indipendentista da New Delhi costata quasi 70mila vittime.

Nelle regioni del Caucaso settentrionale, invece, i costi affrontati dal governo russo per combattere la guerriglia separatista (Cecenia, Inguscezia e Daghestan) oscillano tra 20 e 25 miliardi di dollari dal 1999 a oggi. Nel complesso, in questo periodo il costo per la Russia ha sfiorato i 25 miliardi di dollari, a fronte di almeno 50mila morti.

Tra quelli considerati, infine, l’ultimo Paese ad aver varcato il limite dei 10 miliardi di dollari per sostenere una guerra è la Birmania (oggi Myanmar). Nello Stato asiatico il conflitto risale almeno al 1988, quando la giunta militare al potere cercò di stroncare le proteste delle minoranze Karen e Shan con omicidi e arresti di massa (tra questi, anche quello di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991). Un primo confronto pacifico tra le due parti – il governo da un lato, il generale Bo Mya, capo dei guerriglieri separatisti Karen, dall’altro – è iniziato nel 2004, ma non ha ancora raggiunto i risultati sperati, nonostante un’amnistia lanciata l’anno scorso.