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 2011  maggio 07 Sabato calendario

La finestra del suo ufficio affaccia sugli umori del Paese. Sei piani sotto, sulla piazza delimitata dalla parte opposta dal Parlamento, sfilano ogni giorno sindacati, partiti o gruppi che protestano contro l’austerity

La finestra del suo ufficio affaccia sugli umori del Paese. Sei piani sotto, sulla piazza delimitata dalla parte opposta dal Parlamento, sfilano ogni giorno sindacati, partiti o gruppi che protestano contro l’austerity. Giorgos Papaconstantinou fissa il massiccio dispiegamento di poliziotti in antisommossa: «siamo nel mezzo del tunnel, è buio pesto, ma ce la faremo», esordisce. Il ministro delle Finanze è in prima fila nella titanica sfida che la Grecia sta affrontando per non finire nel baratro. Un traguardo senza precedenti nella storia europea, quello di un taglio del deficit del 5% in soli dodici mesi, è già dietro le spalle. Ma con la gestualità misurata tipica di chi ha frequentato gli ambienti dell’Ocse e si è formato nelle università anglosassoni migliori, il socialista 49enne riassume il percorso futuro: «siamo nella fase più delicata; ma non ci sono alternative al risanamento». E a chi continua a evocare una ristrutturazione del debito, a paventare uscite della Grecia dall’euro, ma anche a chiedere sforzi ulteriori, Papaconstantinou spiega nel dettaglio, in quest’intervista, l’incommensurabile costo politico e sociale di ognuna di queste ipotesi. E si toglie qualche sassolino dalla scarpa con «chi sposta sempre in avanti la data della nostra bancarotta». Il mercato continua a scommettere su una ristrutturazione del debito. «Se la Grecia imponesse unilateralmente perdite ai possessori di titoli di Stato, i mercati la taglierebbero fuori per molto tempo. Con riflessi molto severi per la nostra economia. Per il sistema bancario le conseguenze sarebbero inimmaginabili. Perciò continuo a sostenere che i costi di una ristrutturazione sarebbero ben più pesanti degli eventuali benefici. I ragionamenti che si fanno in astratto si riferiscono a precedenti, a Paesi che si trovavano in condizioni completamente diverse, al momento della ristrutturazione». Sarebbe il primo caso per una moneta unica e dunque condivisa. «Esatto, e tra i rischi maggiori c’è quello del contagio. Ma se la sfida è dura, per noi, io penso che solo il percorso di un rafforzamento delle misure di risanamento, il raggiungimento di un avanzo primario e il ritorno alla crescita possano convincere il mercato, nel medio termine». Nel caso di una ristrutturazione non ci sarebbero anche rischi per i fondi previdenziali greci che detengono molto debito, insomma rischiereste di non poter pagare le pensioni? «Nel caso di ristrutturazione ci sarebbero senza dubbi problemi a pagare le pensioni. E chi parla di ristrutturazione non tiene mai conto dei problemi strutturali. Noi spendiamo più di quello che produciamo, questo è il problema di fondo». Nel 2012, però, dovrete tornare sul mercato. Come farete, se gli interessi dovessero essere ancora alle stelle come adesso? «Sei mesi sono un tempo enorme. Penso che dopo l’estate, quando saremo andati avanti con il piano di risanamento e di privatizzazioni, i mercati si saranno tranquillizzati. Se non sarà così, se avremo bisogno di più tempo, c’è sempre una via d’uscita: la possibilità di chiedere che il Fondo europeo di salvataggio Efsf compri i nostri titoli sul mercato primario. Quindi il problema dei 25 miliardi di euro di cui avremo bisogno nel 2012 potrebbe essere coperto dal Efsf. Noi ce la faremo. Ma altrimenti c’è un paracadute». Nei prossimi giorni la delegazione Fmi-Ue-Commissione europea che è ad Atene finirà di esaminare anche il nuovo piano di austerity – 50 miliardi di privatizzazioni e i 26 miliardi di ulteriori misure a riduzione del deficit. Sareste disponibili a uno sforzo maggiore, se lo chiedessero? «Molti dimenticano che nel 2010 abbiamo messo a segno il più grande sforzo di riduzione del deficit della storia europea. Nel mezzo di una recessione. Pensiamo che le privatizzazioni e i 26 miliardi siano sufficienti, da qui al 2015». L’11 maggio c’è lo sciopero generale e le opposizioni, di destra e sinistra, continuano a contrastare l’austerity. Lei è sicuro che riuscirete a far passare le misure in Parlamento? «È vero, siamo politicamente soli. Ma siamo anche l’unico partito d’Europa che ha una solida maggioranza assoluta in Parlamento. E il premier Papandreou è ancora in cima ai sondaggi. È come se ci fosse una “sospensione della sfiducia”, da parte dei greci: ci stanno dando il beneficio del dubbio. Adesso siamo nel mezzo del tunnel. È il momento più complicato: troppo buio per ricordarsi l’inizio, quando eravamo sull’orlo della bancarotta, ma anche per intravedere l’uscita. Ma ci stiamo muovendo verso la luce». Non sarebbe più facile uscire dall’euro, come suggerisce il settimanale tedesco Spiegel? «No, è impossibile. Anzitutto, perché non esiste il meccanismo per far uscire un paese dall’euro. Ma supponiamo per assurdo che ci fosse. Le conseguenze sarebbero catastrofiche: il debito pubblico raddoppierebbe, il potere d’acquisto crollerebbe, le banche collasserebbero e precipiteremmo in una recessione da guerra. Non ha senso politicamente, socialmente, economicamente. Sarebbe un disastro che nessuno vuole davvero, neanche chi si esercita su quest’ipotesi nei paesi nordici. Mi divertono quegli analisti che l’anno scorso scrivevano che saremmo falliti. Adesso scrivono, ok, non è successo, ma vedrete: nei prossimi anni».