Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 7/5/2011, 7 maggio 2011
SUPER AMANDA, L’AFFARE FALLITO (PER ORA)
In principio fu Amanda. Anzi, Super Amanda. Una centrale unica per gestire le intercettazioni telefoniche disposte dalle procure della Repubblica di tutta Italia. Una rete ad alta tecnologia per coordinare l’enorme mole di ascolti che finisce agli atti di decine di inchieste penali ogni anno. L’idea venne per primi ai manager di Telecom Italia ai tempi di Marco Tronchetti Pro-vera, ormai sette anni fa. Tra loro quel Giuliano Tavaroli che poi venne travolto, e condannato, per i dossieraggi illegali gestiti dalla security del gruppo telefonico.
Non se ne fece niente. Un po’ per il clamore dello scandalo dei cosiddetti “spioni Telecom”. Un po’ perchè era davvero inopportuno che una stessa società, per di più privata, si trovasse a sommare la gestione diretta delle linee telefoniche con quella dei servizi di ascolto ordinati dai pm. Fuori gioco Tronchetti si fa avanti Finmeccanica. Un’azienda di Stato, questa volta, e per di più senza interessi diretti nella telefonia. Il gruppo guidato da Pier Francesco Guarguaglini era però in grado di offrire tecnologie all’avanguardia. E, all’occorrenza, anche i contatti giusti per promuovere un’intensa azione di lobby sul governo.
Le grandi manovre cominciano ai tempi del secondo e brevissimo esecutivo guidato da Romano Prodi, con Clemente Ma-stella al ministero della Giustizia. Incontri, studi, verifiche. Il ministero è molto interessato. Anche per motivi di cassa. Così com’è il sistema di gestione delle intercettazioni fa acqua da tutte le parti, finanziariamente parlando. Ciascuna procura si regola come vuole. Il servizio viene affidato a fornitori privati, a volte piccole aziende, e i costi possono variare, anche di molto, da città a città, da tribunale a tribunale.
ALLA FINE, però, tutti battono cassa a Roma. Da qui le polemiche, spesso e volentieri strumentali, sollevate soprattutto dai politici berlusconiani, sui costi eccessivi delle intercettazioni. Il conto finale, negli anni tra il 2006 e il 2007 quando si comincia a discutere il progetto di Finmecanica, era già arrivato a superare i 400 milioni di euro l’anno, interamente a carico delle casse pubbliche. Roma, tra l’altro, salda le fatture con grave ritardo e gli operatori del settore, strozzati dai ritardi nei pagamenti protestano a gran voce minacciando a più riprese di sospendere gli ascolti.
Centralizzare il servizio affidandolo a un unico gestore avrebbe permesso quantomeno di tagliare i costi in bilancio. Questo, almeno, era l’obbiettivo dichiarato dal governo. La Finmeccanica di Guarguaglini coglie al volo l’occasione e presenta la sua offerta come una straordinaria occasione per dare un taglio secco alla voce intercettazioni nel bilancio del ministero della Giustizia.
Il progetto viene più volte rivisto in corso d’opera. Dapprima lo schema prevedeva un’unica centrale operativo a Roma, da cui sarebbe dovuta partire una rete articolata sulle 26 procure distrettuali e quindi ai singoli tribunali. Questa soluzione presentava però diversi inconvenienti, il più grave di natura politica. C’era il rischio che un grande orecchio romano a disposizione di un’azienda a controllo pubblico, potesse finire facilmente sotto il controllo della politica. Provate un po’ a immaginare le intercettazioni del caso Ruby che transitano, anche se formalmente coperte da segreto, da una rete che fa capo a Roma. Niente da fare quindi. E allora Finmeccanica cambia strada.
L’AZIENDA di Guarguaglini offre macchine, tecnologie, know how da mettere a disposizione delle singole procure. È una specie di servizio chiavi in mano. Il tribunale firma un contratto di fornitura e l’azienda pubblica mette a disposizione tutto l’occorrente per gestire gli ascolti. Finmeccanica fa pressing a tutto campo. Da Padova a Caltagirone, da Novara a Siracusa sono molte le procure che si affidano a tecnologie fornite dal gruppo pubblico che a volte si serve di aziende minori che siglano materialmente l’accordo con i tribunali. A tirare le fila dell’operazione è il manager abruzzese Sabatino Stornelli, 53 anni, amministratore delegato della Selex. È lui sin dai tempi del governo Prodi a tenere i contatti con Roma. Ed è ancora Stornelli, negli anni seguenti, a gestire il cambio di strategia. Niente centrale unica, ma fornitura di tecnologie alle singole procure. “Siamo in grado di offrire il massimo grado di sicurezza”, era solito spiegare ai suoi interlocutori Stornelli. E i costi, affermava, sono nettamente “inferiori a quelli correnti sul mercato”.
Già, i costi. Era questa l’arma vincente di Finmeccanica. Perchè con i concorrenti ormai allo stremo dopo anni e anni di lesina da parte del ministero della Giustizia, era relativamente facile per un grande gruppo come quello guidato da Guarguaglini battere tutti con offerte a prezzi stracciati.
SENZA CONTARE che i tribunali, messi alle strette dai tagli varati dal ministro Angelino Alfano, sono alla disperata ricerca di fornitori più a buon mercato. Finmeccanica vincente, quindi. Se non fosse che Stornelli, nel frattempo, è inciampato in un paio di inchieste della magistratura. E lo stesso Guarguaglini, indebolito da altre indagini che hanno coinvolto il gruppo, pochi giorni fa ha dovuto far posto al vertice del gruppo al nuovo amministratore delegato Giuseppe Orsi. Come dire che la corsa al grande business delle intercettazioni può riservare ancora molte sorprese.