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 2011  maggio 07 Sabato calendario

APERTURA 9 MAGGIO 2011

«Atene torna alla dracma»: venerdì è bastata l’apparizione di questo titolo sull’edizione online del settimanale tedesco “Der Spiegel” per far crollare l’euro al punto più basso da due settimane: 1,4314 dollari (due giorni prima era intorno a 1,50). Tale è stato il precipitare degli eventi, che in Lussemburgo si è svolto un meeting straordinario tra i principali ministri dell’eurogruppo. [1] Ettore Livini: «La pressione per una ristrutturazione dei 325 miliardi di debito greco è in effetti altissima da settimane. E lo stillicidio di sollecitazioni in arrivo quasi quotidianamente da Berlino non aiutano certo il faticoso lavoro del governo Papandreou. Lo scorso anno Ue e Fmi hanno varato un piano da 110 miliardi per puntellare i conti di Atene in cambio di un drastico programma di tagli all’economia ellenica. Il mercato resta però scettico (“la ristrutturazione del debito è inevitabile”, ha scritto venerdì anche il New York Times)». [2]

Ci fosse un meccanismo per uscire dall’euro, Atene assicura che non lo prenderebbe in considerazione. Il ministro delle Finanze Giorgos Papaconstantinou: «Le conseguenze sarebbero catastrofiche: il debito pubblico raddoppierebbe, il potere d’acquisto crollerebbe, le banche collasserebbero e precipiteremmo in una recessione da guerra». Esclusa anche la ristrutturazione del debito: «Se la Grecia imponesse unilateralmente perdite ai possessori di titoli di Stato, i mercati la taglierebbero fuori per molto tempo. Con riflessi molto severi per la nostra economia. Per il sistema bancario le conseguenze sarebbero inimmaginabili. Perciò continuo a sostenere che i costi di una ristrutturazione sarebbero ben più pesanti degli eventuali benefici». [3]

Sul possibile effetto negativo di una ristrutturazione del debito greco sulla stabilità finanziaria dell’area euro le opinioni sono divise. Guntram Wolff, studioso ed esperto dell’Istituto Bruegel di Bruxelles: «Tra i più accesi oppositori si conta Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato esecutivo della Bce, secondo il quale una ristrutturazione minerebbe gravemente la stabilità del sistema bancario greco e quella finanziaria dell’area euro. Altri, ricordando la ridotta esposizione delle banche tedesche e francesi al debito greco, ritengono invece che una ristrutturazione sarebbe gestibile, che il sistema bancario greco potrebbe essere ristrutturato e rilevato da banche estere e che è improbabile che il contagio si propaghi verso altri paesi già ricettori di assistenza Ue-Fmi». [4]

Debito al 126% del pil, l’esecutivo greco è riuscito a tagliare la spesa pubblica e a varare numerose riforme. Livini: «Ma la crisi economica (-3% il pil 2011) ha rallentato le entrate: il deficit 2010 è al 10,5% del prodotto interno lordo, oltre le stime dell’esecutivo e il governo ha dovuto varare un nuovo piano da 76 miliardi tra tagli e privatizzazioni per rispettare i suoi obiettivi». [2] Federico Fubini: «In queste condizioni, il governo dovrebbe affrontare il mercato e raccogliere circa 40 miliardi di euro già dall’anno prossimo. L’anno successivo, la Grecia dovrebbe convincere gli investitori a prestargli ancora di più. È irrealistico che ci riesca e c’è solo una via per evitarlo: l’Fmi e l’Europa devono dire adesso che presteranno di più, allungheranno le scadenze e ridurranno gli interessi su Atene. E il governo deve cedere ciò che può, soprattutto imprese e infrastrutture. Ma sono ipotesi politicamente difficili per chiunque». [5]

I rendimenti dei titoli di Stato greci salgono sempre più perché il governo non riesce ad attirare gli investitori, e la speculazione è sempre in agguato. Come ha scritto il New York Times, «i lupi del mercato sono tornati a ululare». [6] Il primo piano, varato nel vertice straordinario Ue del 7 maggio 2010, prevede aiuti ad Atene per 110 miliardi di euro da restituire in 7,5 anni al tasso del 4,2%. [1] Tasso d’interesse a due anni al 25%, il mercato fissa fra il 2012 e il 2013 il momento più probabile del default greco. Venerdì la discussione fra i ministri delle Finanze di Francia e Germania e i tecnici della diplomazia finanziaria è stata difficilissima. Federico Fubini: «Alcuni dei principali responsabili europei hanno chiesto alla Grecia di mettere a garanzia del programma di sostegno il patrimonio dello Stato. L’Italia lo fece nel 1976, quando impegnò l’oro della Banca d’Italia in cambio di un prestito concesso dalla Bundesbank a sostegno della bilancia dei pagamenti». [5]

Come già accaduto in passato, l’ultima bordata verso Atene è arrivata dalla Germania. Maximilian Cellino: «Curioso perché, in fondo, le banche teutoniche (e Deutsche Bank in primis) sono le più esposte insieme a quelle francesi nei confronti della Grecia. Ogni difficoltà sul Mar Egeo rappresenta prima di tutto una minaccia per quegli istituti di credito». [7] Livini: «I tedeschi spingono per una rinegoziazione soft del debito, con un allungamento delle scadenze. Un modo per non penalizzare gli istituti di Berlino che hanno in pancia 40 miliardi di titoli greci. Il timore è che lasciando passare troppo tempo, la situazione possa precipitare costringendo Atene a una manovra più drastica (come un taglio del 40% del valore delle sue obbligazioni) che rischierebbe di mettere ko il credito teutonico». [5]

Il cancelliere tedesco Angela Merkel si è già fatta sentire anche sul piano di salvataggio del Portogallo da 78 miliardi di euro concordato la settimana scorsa dai Paesi dell’Eurozona con Fondo monetario internazionale di Washington (un terzo, 26 miliardi) e Banca centrale europea di Francoforte (due terzi, 52 miliardi). [8] Il piano Portogallo dovrebbe essere approvato il 16-17 maggio nella riunione dei ministri finanziari dell’Eurogruppo/Ecofin. Luca Fornovo: «In tempo perché il Portogallo possa affrontare le scadenze di giugno (pari a circa 5 miliardi di euro) sul fronte dei titoli pubblici». [9]

A complicare le cose c’è l’incognita finlandese. Fornovo: «Il partito nazionalista Veri Finlandesi, uscito vittorioso dalle ultime elezioni politiche, minaccia di non votare in Parlamento il salvataggio di Lisbona. Salvataggio che i ministri finanziari europei dovranno approvare all’unanimità. Il leader dei veri Finlanesi, Timo Soini, è stato costretto dalla base a fare retromarcia, dopo le dichiarazioni di alcuni giorni fa che erano apparse come un’apertura sul piano di aiuti portoghese. Bruxelles, comunque, mostra ottimismo: “Siamo fiduciosi che la Finlandia parteciperà al salvataggio”, ha affermato un portavoce dell’esecutivo europeo”». [9]

Dopo Grecia e Irlanda, il Portogallo, debito pubblico pari all’82,7% del pil, è il terzo Paese dell’Eurozona ad alzare bandiera bianca di fronte alla crisi del debito sovrano (l’Sos era stato lanciato il 6 aprile). [10] Il sì tedesco, ha avvisato la Merkel, arriverà solo se le previsioni saranno considerate “realistiche”. Grazie ai prestiti internazionali, Lisbona potrà evitare per oltre due anni di rivolgersi ai mercati finanziari concentrandosi su aggiustamento dei conti pubblici, rilancio della competitività e della crescita con riforme strutturali, rafforzamento del sistema bancario. Il capo della delegazione europea, Jürgen Kroeger, ha ricordato che lo spostamento al 2013 (dal 2012) dell’obiettivo del 3% (dall’attuale 9,1%) per il deficit è in linea con le procedure europee (Grecia e Irlanda hanno tempo fino al 2014). [11]

«Il Portogallo ha ottenuto un salvataggio più vantaggioso di quello irlandese e greco» titolava mercoledì a tutta pagina l’Irish Independent, il quotidiano più diffuso d’Irlanda. Deficit al 32,2% del Pil, debito pubblico al 97,4% (dati 2010), travolta dalla crisi bancaria a novembre Dublino ha chiesto prestiti per 85 miliardi. Vittorio Da Rold: «A far arrabbiare Dublino è soprattutto il tasso di interesse che per l’Irlanda viaggia al 5,8% mentre per i compagni di sventura portoghesi dovrebbe attestarsi tra il 4,3-4,7%, quasi due punti in meno. Per non parlare dei greci, che all’inizio dovevano addirittura restituire il prestito da 110 miliardi di euro in soli tre anni (termine poi allungato a marzo, nel corso del vertice Ue, a 7 anni e mezzo, come gli irlandesi) con un tasso di interesse del 5,2 di media poi sceso al 4,2 per cento. Insomma l’Irlanda non ci sta proprio e chiede di ridurre gli interessi e il costo del debito». [12]

Il salvataggio del Portogallo ha indispettito pure i cosiddetti Bric (Brasile, India, Russia, Cina). Fubini: «Nei decenni scorsi il Brasile, i Paesi asiatici e la Russia, avevano subito dure condizioni per i prestiti dell’Fmi, imposte anche dall’Europa. Oggi stanno rispondendo all’Europa con contestazioni di merito. Per il Portogallo, i Bric hanno iniziato a trattare chiedendo di condizionare gli aiuti a una ristrutturazione preliminare del debito. Il tema è poi stato accantonato per ora. Ma secondo la Cina e gli altri un aiuto nelle condizioni attuali avrebbe violato un principio degli statuti del Fondo: che il Paese aiutato abbia “capacità di ripagare” l’Fmi. Solo se si libera di parte del debito pregresso, dicono i Bric, Lisbona può ricevere nuovi prestiti dell’Fmi (il cui capitale è fornito dai governi che lo compongono, dunque anche da loro)». [13]

In attesa che la Spagna, unico “Pigs” ancora mancante all’appello, costringa a un nuovo salvataggio (disoccupazione al 21%, il pil cresce solo dello 0,6%) [9], venerdì in Lussemburgo si è parlato anche della successione a Jean-Claude Trichet, che il 31 ottobre lascerà la Bce. Da Rold: «Secondo le indiscrezioni riportate sempre da Der Spiegel, la Merkel starebbe ancora valutando la possibilità di non sostenere Mario Draghi». [1] La cancelliera, si dice, teme che la nomina di un italiano - per quanto di alta reputazione - sia vista da molti deputati della sua maggioranza e dal suo elettorato come un cedimento a un Paese debole in fatto di lotta all’inflazione e di controllo del debito pubblico. Danilo Taino: «Inoltre, fonti del ministero delle Finanze dicono che Berlino vorrebbe che Draghi fosse meno rigido di Trichet quando si viene a discutere di possibili ristrutturazione dei debiti dei Paesi in crisi». [14]

Chi vuol salvare la Grecia (il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna ecc.) deve fare i conti anche con le banche d’investimento, per le quali i default sono una straordinaria opportunità di risolvere i ricavi e i bonus di un’intera annata. Fubini: «Negoziare l’insolvenza ellenica potrebbe fruttare commissioni pari, in un’ipotesi cauta, all’8% delle somme in discussione. Se la Grecia fallisse, tornerebbe indietro di 40 anni. Nel frattempo le banche d’investimento coinvolte nei negoziati avrebbero da spartirsi in commissioni più di 150 milioni di euro, oltre 200 milioni di dollari». [5]

Note: [1] Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 7/5; [2] Ettore Livini, la Repubblica 7/5; [3] Tonia Mastrobuoni, La Stampa 7/5; [4] Guntram Wolff, la Repubblica 5/5; [5] Federico Fubini, Corriere della Sera 7/5; [6] Luigi Offeddu, Corriere della Sera 7/5; [7] Maximilian Cellino, Il 24 Ore 7/5; [8] Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 6/5; Elena Polidori, la Repubblica 6/5; [9] Luca Fornovo, La Stampa 4/5; [10] Gianluca Di Donfrancesco, Il Sole 24 Ore 4/5; [11] Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 6/5; [12] Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 5/5; La Stampa 7/5; [13] Federico Fubini, Corriere della Sera 4/5; [14] Danilo Taino, Corriere della Sera 7/5.