Maurizio Ricci, la Repubblica 7/5/2011, 7 maggio 2011
E´ bastato un dato, vistoso, quanto fragile, per fermare l´isteria, arrestare la caduta libera del petrolio appena sotto 100 dollari al barile a New York, 112 dollari in Europa e rimettere il segno più sulle quotazioni di gran parte delle altre materie prime
E´ bastato un dato, vistoso, quanto fragile, per fermare l´isteria, arrestare la caduta libera del petrolio appena sotto 100 dollari al barile a New York, 112 dollari in Europa e rimettere il segno più sulle quotazioni di gran parte delle altre materie prime. Ad aprile, infatti, contro le aspettative, la maggior economia mondiale ha registrato 244 mila posti di lavoro in più. E´ il terzo mese consecutivo in cui gli Usa aumentano l´occupazione di oltre 200 mila unità. Anche se il ritmo delle assunzioni continua ad essere marcatamente più lento di quello storicamente registrato all´uscita delle precedenti recessioni, è un segnale di vitalità e di ottimismo, che chiude una settimana d´oro, dopo l´uccisione di Osama Bin Laden, per la Casa Bianca. In realtà, però, è un dato sospeso nel vuoto, senza riscontro, ancora, negli altri indicatori dell´economia americana: la crescita sembra in rallentamento, la quantità di ore lavorate non aumenta, il tasso di disoccupazione (frutto di una diversa indagine statistica) è lievemente salito. I mercati ne hanno però tratto la convinzione che la ripresa economica globale sia in marcia e che la domanda di petrolio e materie prime sia destinata a salire. Si è chiusa così, con le quotazioni in ripresa, una settimana di panico. Perché panico, a partire dal crollo delle quotazioni dell´argento, c´è stato. Fra lunedì e giovedì, l´indice Thomson Reuters-Jefferies delle materie prime ha perso il 10 per cento. Il petrolio è caduto del 10 per cento nella sola giornata di giovedì e ieri mattina è sceso sotto i 95 dollari. La cronistoria della settimana mostra quanto siano ampie, ormai, le oscillazioni che la speculazione finanziaria è in grado di dare ai mercati delle materie prime, prima che la legge della domanda e dell´offerta, nello scambio fisico dei beni (come la consegna del greggio alle raffinerie) faccia prevalere la sua logica sulle scommesse dei futures. Nulla, infatti, in questi giorni, è cambiato nei fondamentali del mercato: i cinesi continuano a comprare petrolio e minerali, il greggio libico continua a mancare, la situazione in una regione cruciale come il Medio Oriente si è, semmai, complicata. A muoversi è stata soltanto la psicologia degli hedge funds, delle grandi banche, dei manager dei fondi destinati alle commodities, che ormai manovrano centinaia di miliardi di dollari. Lo dimostra la rapidità con cui il crollo dell´argento ha contagiato gli altri mercati. E´ il vecchio detto che ricordano gli operatori: «Quando tu non riesci a vendere quello che vuoi vendere, vendi qualsiasi cosa puoi, anche la collana di tua nonna». In altre parole, se non riesci più a vendere argento, o pensi che ci stai perdendo troppo, tenti di rientrare delle perdite, realizzando i profitti sul petrolio, sul frumento, sullo zucchero. A fine aprile, secondo la Deutsche Bank, i mercati in cui l´esposizione degli operatori risultava più alta erano, nell´ordine: peso messicano, petrolio, dollaro australiano, platino, granturco. Platino e petrolio sono crollati giovedì, il granturco ha continuato anche ieri. La brusca correzione di questi giorni è stata accolta da più di un analista come una salutare "secchiata d´acqua fredda". E il presidente della Bce, Jean Claude Tricher ha commentato: «E´ una buona notizia». E´ dubbio, peraltro, che calmi a lungo i bollenti spiriti di una finanza a caccia di occasioni. Le quotazioni del petrolio, come dei metalli e delle materie prime alimentari restano, comunque, assai più alte di un anno fa. A lungo termine, nessuno sembra dubitare che le quotazioni, in questi mercati, siano destinate a salire ancora, in larga misura per la domanda dei Paesi emergenti. A distanza più ravvicinata, tuttavia, è più facile pensare alle montagne russe, come abbiamo sperimentato nelle ultime settimane, prima con una corsa sfrenata delle quotazioni, poi con un crollo improvviso. Ci sono motivi tecnici. I mercati delle materie prime, anche se si sono enormemente gonfiati negli ultimi anni, restano assai meno regolamentati, ad esempio, delle borse azionarie. Più basso l´investimento minimo che bisogna anticipare in una contrattazione, più alta la soglia massima di oscillazione, oltre la quale il mercato si ferma, per raffreddare le contrattazioni. Scommettere è più facile, più rischioso, ma anche più redditizio. Ma ci sono motivi più di fondo. La frenesia dei mercati delle materie prime degli ultimi due anni è stata, in larga misura, alimentata dalla bolla di liquidità, create dalle autorità monetarie, come la Federal Reserve e la Banca centrale europea, che hanno pompato denaro a costi stracciati, per contrastare la recessione. Tanto più a basso prezzo la liquidità, tanto più rischiose le operazioni che rendeva possibili: ad esempio, con rialzi delle quotazioni, a prima vista, sproporzionati. Questa fase è, probabilmente, in via di esaurimento. La Bce ha cominciato ad alzare i tassi d´interesse, la Fed sembra avviata a concludere, a giugno, la strategia di "quantitative easing", con cui ha iniettato denaro nel sistema. Ci saranno meno soldi in giro, e più cari. Ma, come può spiegare qualsiasi impiegato di un "hedge fund", nei mercati si può guadagnare sia quando i prezzi salgono che quando scendono. L´importante è che si muovano.