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 2011  maggio 07 Sabato calendario

In una discussione, un mio amico sosteneva, in contraddizione con me, che Alcide De Gasperi, subito dopo la partenza del Luogotenente, era stato nominato «capo provvisorio dello Stato»

In una discussione, un mio amico sosteneva, in contraddizione con me, che Alcide De Gasperi, subito dopo la partenza del Luogotenente, era stato nominato «capo provvisorio dello Stato» . In seguito qualche dubbio mi è venuto. Tra la partenza di Umberto e la nomina di De Nicola, chi ricopriva la carica di capo dello Stato? Bruno Lombardi bruno_lombardi@email. it Caro Lombardi, D e Gasperi fu capo dello Stato fra la notte del 12 giungo 1946, quando il Consiglio dei ministri proclamò l’instaurazione di un «regime provvisorio» , sino al 28 giugno quando l’Assemblea costituente elesse Enrico De Nicola alla presidenza della Repubblica. La decisione del Consiglio dei ministri fu una delle più difficili e controverse della delicata fase istituzionale che era cominciata con il referendum del 2 giugno 1946. Sei giorni dopo, l’ 8 giugno, nella sala della Lupa del palazzo di Montecitorio, la Corte di cassazione aveva annunciato, di fronte a due calcolatrici e a un piccolo pubblico di personalità, i risultati delle 31 circoscrizioni. I voti per le Repubblica erano 12.717. 923 e quelli per la monarchia 10. 719. 284. Ma anziché proclamare la vittoria della prima sulla seconda, il presidente della Corte Giuseppe Pagano annunciò che la Cassazione avrebbe emesso in un’altra adunanza «il giudizio definitivo sulle contestazioni, proteste, reclami, presentati agli uffici delle singole sezioni, a quelle centrali e circoscrizionali e alla Corte stessa concernenti le operazioni relative al referendum» . Dietro questa sfilza di obiezioni e riserve vi era un grosso problema sollevato da un gruppo di docenti della Università di Padova: se alla maggioranza dei voti validi corrispondesse la maggioranza degli elettori votanti, come prescritto nel decreto luogotenenziale del marzo con cui era stato indetto il referendum. Come scrissero Indro Montanelli e Mario Cervi nella loro Italia della Repubblica, «occorreva una maggioranza qualificata, da calcolare tenendo conto anche delle schede bianche e nulle: occorreva cioè, come si dice in gergo elettorale, un quorum» . Il governo sperò che Umberto II avrebbe preso buona della sconfitta (i voti per la Repubblica erano stati comunque superiori a quelli per la monarchia) e avrebbe lasciato il Quirinale. Ma il re, consigliato da un piccolo numero di fedeli particolarmente combattivi, disse a De Gasperi che avrebbe potuto tutt’al più, in attesa di un risultato definitivo, nominarlo «reggente civile» . Si sarebbe spogliato temporaneamente delle sue prerogative, ma avrebbe dimostrato al tempo stesso che la fonte del potere era pur sempre al Quirinale: una formula che il governo non intendeva accettare. Cominciò così un braccio di ferro con un momento di grande tensione durante il quale, secondo Montanelli e Cervi, De Gasperi avrebbe detto a Falcone Lucifero, ministro della Real Casa: «E sta bene: domattina o verrà lei a trovare me a Regina Coeli o verrò io a trovare lei» . La situazione si sbloccò quando Umberto decise di partire senza abdicare e senza trasferire il potere a un’altra autorità. Era una soluzione che gli consentiva, in teoria, di tornare in scena. Ma era anche quella che meno minacciava in quel momento la pace civile e sociale del Paese. Credo che di questo gli italiani debbano essergli grati.