Daniele Abbiati, il Giornale 7/5/2011, 7 maggio 2011
Le confessioni di Céline «Io non amo i vincitori» - «I o non amo i vincitori ». Ma, beninteso, tutti i vincitori
Le confessioni di Céline «Io non amo i vincitori» - «I o non amo i vincitori ». Ma, beninteso, tutti i vincitori. Cioè sia quelli che s’illudono d’aver vinto perché hanno massacrato e umiliato il nemico, sia quelli che sono stati massacrati e umiliati ma ai quali spetta il ruolo di vincitori morali. Quando scrive quella frase, nel novembre del 1945, Louis-Ferdinand Céline è senza dubbio uno sconfitto. La lettera è indirizzata all’amico medico Alexandre Gentil, fra i pochissimi che ancora godevano della fiducia dello scrittore. Esiliato in Danimarca, espulso come un cancro contagioso dalla sua patria che lui considera ingrata, l’autore di Viaggio al termine della notte stava compiendo, in assoluta solitudine, il proprio viaggio al termine dell’abiezione e della vergogna. «Sapevamo dell’esistenza di quelle lettere, ma non sapevamo dove si trovassero. Sono stati i familiari del dottor Gentil a trovarle e a salvarle dalla pattumiera». Olivier Devers, l’esperto che ha preso in carico il prezioso malloppo composto da una quarantina di missive datate fra il ’39 e il ’48, non nasconde la propria soddisfazione, e la confessa al Figaro . Quei documenti andranno all’asta martedì prossimo, 10 maggio, presso la casa Artcurial di Parigi, partendo da una base di 100mila euro. Tanto vale l’orgoglio ferito a morte di un «maledetto» isolato. Isolato e tendenzialmente «rimosso», visto che la sua memoria non ha meritato, per volere del ministro della Cultura francese Frédéric Mitterrand, di entrare nella lista delle commemorazioni ufficiali del 2011. Il prossimo 1 luglio saranno 50 anni dalla scomparsa di Céline, ma la Francia per quel giorno ha già altri impegni in agenda... Conviene, allora, frugare un po’ nel lotto 194 curato da monsieur Devers. Settembre ’45. Céline è ospite di un tale signor M. Bartholin: È «un maestro di danza mezzo israelita, un uomo piacevole. Voi sapete che sono stato sempre circondato da israeliti. Me l’hanno sempre rinfacciato. Questa razza è destinata a guidare il mondo, la sua intelligenza gliene dà il diritto e l’ho sempre detto alla mia piccola Georgette [la moglie Lucette, ndr ] che nulla vale come l’amicizia degli israeliti». Eccoli, i vinti vincitori, oppure i vincitori sconfitti. L’ironia caustica dell’antisemita non gli impedisce di guardare con un certo distacco all’orrore degli eventi. Il 7 ottobre ’45, Céline torna sul tema: «Da qui a dieci anni non ci sarà un giudeo che non sarà passato da Buchenwald e divorato vivo quarantuno volte dai cani nazisti ». Eccoli, a far da contraltare, i vincitori vinti, oppure i vinti vincitori. Piccolo balzo in avanti: novembre ’45. «Non amo più la Germania e i tedeschi. Le mie preferenze vanno verso l’Inghilterra e le Americhe dove ho passato la mia giovinezza. [...] Mi sono sacrificato affinché la carneficina finisse! e merda non ci sono riuscito! [...] Soltanto il cinismo è intelligente ». Poche righe dopo, ecco la frase che abbiamo riportato all’inizio. «Io non amo i vincitori», autentico manifesto esistenziale, carta d’identità di se stesso. Proseguiamo, sempre in quel novembre: «È necessario esser stati a Buchenwald per essere veramente un francese rispettabile - i 100mila morti di questa guerra pesano molto più dei due milioni dell’altra». Poi Céline profetizza la morte violenta del suo editore Denoël, e sbotta: «Si deve essere antitedesco, “ filosemita”e repubblicano. O smettere di essere francese... [...] - l’Ariano errante ha una sorte ben più putrida di quella dell’ebreo errante gli amici dell’Ariano sono più deboli e rarissimi, gli amici dell’ebreo sono potenti e innumerevoli ». Nel mazzo c’è anche una lettera senza data ma con un titolo: «Alcune verità». In essa leggiamo: «Sono stato vessato da Vichy - I miei libri sono stati proibiti [...] Non ho mai capito in che cosa consiste il mio collaborazionismo... Non ho vinto nulla con i tedeschi, ho perso tutto. Tutta la mia vita è stata un incubo». Infine, il 4 agosto ’48, da una capanna sulle rive del Baltico a Korsoer: «Non ci vedevo più bene, avevo perso 48 chili. Non ne sono ancora uscito del tutto. Sono ancora pieno di reumatismi. Sono stato sei mesi in ospedale - E poi mi hanno rimesso in prigione - e sono mezzo morto... così ho sperimentato ciò che non avevo mai conosciuto, l’odio per il genere umano ». Tre anni dopo, potè tornare in Francia, ma con un timbro sul passaporto dell’anima: «indegnità nazionale». La confisca di tutti i beni presenti e futuri lo costringerà a vivere con i pochi soldi della pensione di ex-combattente. Senza l’onore delle armi.