Giorgio Dell’Arti, La Stampa 7/5/2011, PAGINA 86, 7 maggio 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 97 - I BOT OBBLIGATORI
Che cosa sono questi «avversarii assalti»?
Il pubblico cominciò a fischiarlo quasi subito. Gridavano e gli coprivano la voce, che già non era potente. Invano il conte gridava al presidente di turno: «Si copra! Si copra!».
Che cosa significava questa espressione?
Se il presidente si metteva il cappello in testa, quello era il segno che l’aula si doveva sgombrare e la seduta sospendere. Cavour affrontava argomenti poco simpatici. Dopo l’estate il governo si mise in cerca di soldi. La guerra alla fine sarebbe costata 300 milioni, una somma con cui il paese, in tempo di pace, avrebbe campato due anni. In giugno il ministro delle Finanze, Revel, aveva comunicato all’assemblea che per il secondo semestre si sarebbero dovuti trovare 31 milioni. In settembre presentò una specie di finanziaria, formata da tre decreti. Benché non facesse parte del governo, li aveva preparati Cavour.
Strano, no?
Era considerato un mago della finanza.
Tasse?
No. Il conte, almeno in quel momento, era contrario alle tasse. « È verità economica incontrastata che le imposte, spinte oltre certi limiti, cessano dall’essere produttive, od almeno non possono riscuotersi senza produrre tali e sì gravi perturbazioni da cagionare in fin dei conti al pubblico erario più danni che utile ». Troppe « gravezze […] hanno il grande inconveniente di produrre risultati finanziari affatto opposti all’aspettativa di chi gli adopera. Invece di aumentare le risorse del Tesoro, esse lo conducono a sicura rovina ...». Il ragionamento era: se metti le tasse, la gente avrà meno soldi per fare acquisti e ti diminuiranno i ricavi sulle imposte dirette, che rappresentavano i 7/8 delle entrate statali. Quella frazione - 7/8 - è una stima di Cavour.
E allora?
Prestiti. Alcuni dei quali «forzosi».
In che senso «forzosi»?
Non c’era un sistema dei bot, come adesso. Si temeva anzi che il pubblico, ignaro di questi strumenti misteriosi, si sarebbe rifiutato di prestare volontariamente soldi allo Stato. Così li si obbligava, basandosi sul patrimonio di ciascuno. Eri costretto a comprare i bot o, come si diceva allora, la rendita.
E quanto ti davano di interesse?
Il 5%. Il punto era che la quantità di rendita che si era obbligati a comprare era percentualmente più o meno uguale per tutti. Cavour aveva fissato una progressione leggerissima, che aveva come tetto il 2% dei beni posseduti. E senza toccare i redditi, perché, spiegò, era impossibile colpire i redditi (« crediti chirografici, capitali circolanti, capitali immateriali, quelli cioè che traggono larghi proventi dalle professioni ») se non eccitando « i debitori a denunziare i creditori » e « accordando un premio alla delazione ». « Ma questo mezzo è talmente immorale, talmente contrario all’indole delle libere istituzioni, che nessun finanziere onorato ardirebbe consigliarlo, quand’anche fossero per tornare in favore dell’erario non lievi vantaggi ». In effetti, e Cavour lo ricordò, la semisocialista assemblea francese aveva respinto un’idea simile di Proudhon, qualificandola quasi come contraria all’umanità.
E allora noi, oggi, con le aliquote Irpef, che cosa dovremmo dire?
All’opposizione fu facile sostenere che il conte stava facendo un favore ai ricchi. Una progressione che si fermava appena al 2%! È un dibattito famoso, in cui a contrastare Cavour si alzò Matteo Pescatore. Però, non creda che anche Pescatore proponesse chi sa che cosa: voleva in definitiva che la progressione fosse portata al 6%.
Non mi pare così terribile.
Secondo Cavour andava combattuta l’idea stessa della progressione. A Cavour seccava persino che quel 2% fosse considerato una progressione.
Ma come mai? Stiamo parlando di qualcosa che somiglia alle nostre aliquote, no?
Sì, anche se non era una tassa.
E non era giusto che i più ricchi prestassero, in percentuale, di più?
Secondo Cavour, no. Un sistema progressivo - nei prestiti forzosi, come nelle tasse - avrebbe trasferito l’accumulazione del capitale allo Stato, sottraendola ai privati. « Gli uomini intraprendenti, i fabbricatori, i commercianti, giunti ad un certo segno di ricchezza, cesseranno dall’accrescere i loro mezzi di produzione, di estendere i loro traffici, se le loro operazioni, ove riescano favorevoli, debbono avere per effetto di accrescere la quota del contributo che pesa già sulle acquistate sostanze. Parimente il ricco possessore cesserà dall’economizzare, dal migliorare i suoi fondi, se, coll’accrescere il loro valore, accresce in proporzione molto maggiore le gravezze che debbono gravarli. Badisi ancora che l’imposta progressiva oppone non solo un ostacolo materiale all’accrescersi dei capitali, ma lo combatte altresì col gettare una specie di discredito su coloro che aumentano le loro sostanze ».
Dovremmo, secondo lui, non pensar male dei ricchi?
Per Cavour, l’imposta progressiva è uno strumento dell’assolutismo. Infatti « in un paese ove le fortune fossero condannate all’immobilità […]l’imposta progressiva potrebbe introdursi senza gravi sconcerti economici. Ma in una società industriosa e libera, in cui le proprietà come i capitali sono in circolazione continua, essa impedirebbe ogni rapido progresso, ogni notevole sviluppo della ricchezza pubblica».