MARCO BARDAZZI, La Stampa 7/5/2011, 7 maggio 2011
La rivincita della Cia tra tecnologia e 007 - I vicini di casa di Osama bin Laden in Pakistan da giorni sono assediati dai giornalisti, a caccia di aneddoti sulla vita segreta del capo di Al Qaeda ad Abbottabad
La rivincita della Cia tra tecnologia e 007 - I vicini di casa di Osama bin Laden in Pakistan da giorni sono assediati dai giornalisti, a caccia di aneddoti sulla vita segreta del capo di Al Qaeda ad Abbottabad. A due passi dal fortino blindato dove è stato ucciso Osama c’è però una casa dove è inutile andare a bussare: da giorni gli inquilini sono svaniti nel nulla, senza lasciare traccia dei mesi trascorsi là dentro in compagnia dei più sofisticati strumenti di spionaggio tecnologico esistenti al mondo. Le stanze vuote sono ciò che resta di una «safe house» della Cia, la base che le spie americane avevano messo in piedi a due passi dal loro nemico numero uno. Sono state le informazioni raccolte con pazienza da qui, per mesi, ad aver permesso il raid a colpo sicuro dei Navy Seals sfociato nell’uccisione di Osama. L’aspetto militare del raid ha attratto in questi giorni le maggiori attenzioni. Ma ora che a Washington filtrano le prime indiscrezioni sull’attività d’intelligence che lo ha permesso, emerge in tutta la sua portata quella che appare come una vera e propria «rivincita» della Cia. Dopo anni di passi falsi, segnati dal fallimento nella caccia alle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e da scandali come il Cia-Gate - che vide l’agenzia di Langley in guerra contro la Casa Bianca di George W.Bush - i retroscena di Abbottabad raccontano la storia di un ritorno in scena in grande stile dello spionaggio americano. La Cia ha creato la casa sicura poco dopo aver individuato, l’estate scorsa, la traccia di bin Laden che conduceva in Pakistan. La città scelta da Osama come rifugio ha offerto un insperato vantaggio agli agenti segreti. In luoghi con una forte impronta islamica come Peshawar, Karachi o Quetta, per gli infiltrati americani sarebbe stato difficilissimo non farsi notare. Ma Abbottabad è abbastanza secolare da accogliere non solo pachistani in vacanza, ma anche militari statunitensi che partecipano alle attività della locale Accademia delle forze armate. La Cia peraltro dispone da tempo di agenti capaci di mimetizzarsi facilmente in Pakistan: per anni, dopo l’11 settembre, l’agenzia ha reclutato nei campus americani studenti di origine pachistana, per utilizzarli nella caccia ai terroristi. Una volta individuato il possibile rifugio di Osama, è stata scelta una casa nelle immediate vicinanze nella quale per mesi si sono alternati vari agenti. Un’operazione gestita con una duplice preoccupazione: non farsi scoprire dagli uomini di Al Qaeda e non insospettire polizia e servizi segreti pachistani, di cui l’America non si fida più. Dalla «safe house», il fortino di bin Laden è stato spiato con ogni possibile mezzo: telecamere con potenti obiettivi, strumenti all’infrarosso per la raccolta di immagini, apparecchi di intercettazione capaci di cogliere voci al di là del muro di cinta. Un ruolo decisivo nell’aiutare la Cia lo ha avuto poi una delle meno note tra le molteplici agenzie di spionaggio americane. Si tratta della National Geospatial-Intelligence Agency (Nga), che ha unito le proprie sofisticate immagini dal satellite alle rilevazioni fatte a terra dagli agenti segreti attraverso alcuni sensori «ladar» (laser-radar), per ricavare una ricostruzione tridimensionale dettagliata della residenza di bin Laden. Un lavoro che ha permesso di ricostruire negli Usa una copia esatta della casa-fortino per l’addestramento dei Navy Seals. Le spie americane hanno poi fotografato per settimane ogni persona che viveva dentro il complesso, integrando anche in questo caso le immagini con quelle raccolte dal satellite, per ricavare profili dettagliati di ciascuno e studiarne le abitudini. Nonostante tutto l’imponente apparato tecnologico - costato alcune decine di milioni di dollari -, sembra però che la Cia non sia mai riuscita a fotografare bin Laden, che raramente si avventurava anche solo nel cortile interno. Le nuove indiscrezioni sull’operazione Osama faranno accrescere ulteriormente il prestigio di Leon Panetta, il direttore della Cia che Obama si appresta a mettere alla guida del Pentagono. L’italoamericano che comanda le spie ha riportato nel quartier generale di Langley, in Virginia, qualcosa che mancava da anni: la fiducia. Dopo la fine della Guerra Fredda, la Cia ha faticato per tutti gli anni Novanta a trovare una nuova ragione d’essere, e si è vista tagliare a fondo il bilancio dall’amministrazione Clinton. Poi, dopo l’11 settembre, il terrorismo islamico ha presentato sfide nuove e ha richiesto un completo ripensamento del metodo di lavoro degli agenti segreti. Sono andati in pensione i cremlinologi e si è lasciato spazio agli esperti di Islam, a chi parla pashtu o urdu e a chi sa muoversi in luoghidi guerriglia. Per anni però la svolta non ha pagato, perché la Cia è rimasta impantanata nelle polemiche sull’Iraq o sui contestati metodi d’interrogatorio di Guantanamo. Adesso il lavoro degli inquilini della casa segreta di Abbottabad entra nella galleria dei successi dell’Agenzia e dimostra che sulla scena è arrivata una nuova generazione di spie: giovani agenti che ai tempi della guerra segreta contro il Kgb erano bambini, ma sanno muoversi in Pakistan come fossero nati a Islamabad.