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 2011  maggio 07 Sabato calendario

SULLA LIBIA LA POLITICA DELLE FINZIONI

Avevamo appena cominciato a dimenticare l’infausta giornata del 4 maggio, in cui il Parlamento italiano ha approvato una mozione di maggioranza da archiviare in fretta.
Una mozione che afferma, per ciò che riguarda la nostra partecipazione all’intervento in Libia, delle cose che in parte sono ripetitive e in parte sono improponibili e in cui l’opposizione, per conto suo, ha fatto tutto il possibile per non essere da meno. Il giorno seguente, quello in cui Hillary Clinton è venuta a Roma per la riunione del Gruppo di Contatto per la Libia, attorno alla stravagante idea italiana di chiedere una data certa in cui l’intervento militare avrà termine è caduto fortunatamente il silenzio. Se i partecipanti al Gruppo ne hanno parlato tra loro, sarà stato nei termini in cui si parla di inevitabili e trascurabili capricci infantili. E noi, aiutati dal blitz su Bin Laden, abbiamo potuto pensare ad altro. Sulle determinazioni strategiche prese dal Gruppo, non abbiamo indicazioni che siano andate molto oltre ciò che ci si poteva aspettare: la conferma che la missione proseguirà sino al raggiungimento dei suoi obiettivi, in primo luogo la fine degli attacchi contro i civili e il libero accesso degli aiuti umanitari, e la percezione generica di una volontà di maggiore sforzo anche politico per eliminare Gheddafi dalla scena.

Come mai, allora, quando sull’ingloriosa vicenda cominciava a scendere il silenzio, il ministro degli Esteri Frattini ha rilasciato ieri mattina a Palermo un dichiarazione, non smentita né corretta successivamente, secondo cui delle ipotesi realistiche (sic) indicano in 3-4 settimane la fine delle operazioni militari e altre ipotesi più ottimistiche la danno addirittura tra pochi giorni? A Frattini non manca la consapevolezza che le sue parole suscitano inevitabilmente polemiche da noi e, a dir poco, sorpresa - se vengono prese sul serio - negli ambienti internazionali. Delle due l’una. Se le sue previsioni si fondano sullo stato delle operazioni militari e sulla capacità di resistere dei lealisti di Gheddafi, avrebbe dovuto dirlo il Comando Nato che invece continua a dire che non può anticiparsi nessuna data. Se invece il nostro Ministro è a conoscenza di auspicabili successi degli sforzi politico-diplomatici che si vanno compiendo per affiancare all’azione militare una forma di arresto concordato delle ostilità, il meno che si possa dire è che è del tutto inconsueto e inopportuno che se ne faccia stato pubblicamente. Frattini è abbastanza intelligente per saperlo.

È inevitabile dedurne che solo ragioni di carattere politico elettorale interno possono averlo indotto a simili affermazioni, in particolare la speranza di far apparire il suo partito non meno desideroso di pace della Lega e ancor più dell’opposizione. L’Italia si conferma dunque come un paese in cui il risultato delle prossime elezioni amministrative detta non solo il comportamento del governo negli affari correnti ma anche le linee, o quanto meno il linguaggio, della nostra politica estera. Si dirà che anche in Germania, su gravi temi economici e ambientali, è successo altrettanto: ma certo con meno andirivieni e più serietà.

Quanto al futuro, imminente o lontano che sia, non vi è dubbio che un errore è stato commesso dagli alleati fin dall’inizio, quando si è scambiata la crisi libica, che ha carattere verticale perché sono l’est e l’ovest del paese che vi si confrontano, con le insorgenze del tipo egiziano o tunisino che hanno avuto carattere orizzontale e hanno interessato senza fratture le rispettive società. Per questo, predisporre oggi e comporre domani il futuro assetto della Libia sarà ancora più difficile che vincere senza combatterla quella che è una guerra intestina ma che abbiamo tutti fatto finta, per semplicità o per interesse, fosse una sana, autentica, democratica rivolta popolare.