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 2011  maggio 07 Sabato calendario

CINESI TORTURATE FINO AD ABORTIRE È LA POLITICA DEL FIGLIO UNICO


«Il regime comunista cinese si vanta di aver risparmiato 400 milioni di vite dall’introduzione della politica del figlio unico nel 1979. In realtà è un crimine contro l’umanità». Non usa mezzi termini Harry Wu, 74 anni, fondatore della “Laogai Research Foundation” (www.laogai.it). È sopravvissuto a 19 anni di dura e violenta prigionia trascorsa nei lager cinesi, i cosiddetti laogai, “colpevole” di aver criticato il regime comunista. Ha subito ogni genere di tortura, ma ce l’ha fatta. Ora, da uomo libero, vive a Washington. La sua missione è denunciare le mostruosità del governo cinese. Dalle esecuzioni senza pietà, anche di ragazzi e bambini, con ambulanze che attendono a due passi per aprirli ed espiantare gli organi sul posto. Fino alla agghiacciante legge del figlio unico. Un solo denominatore comune: il disprezzo per la vita e l’adorazione del “denaro sterco del demonio”, come dice Massimo Fini. Oggi Harry Wu è tornato in Italia, per presenziare al congresso della Laogai Research Foundation, a Roma, insieme a Reggie Littejohn, esperta internazionale sulla politica del figlio unico in Cina. Come afferma Gianfranco Zandonati, presidente della fondazione Caritro, promotrice dell’evento, «è un appuntamento da non perdere, sulle violazioni dei diritti umani in Cina che da sempre denunciamo». Un “assaggio” ce lo dà subito Harry Wu, che abbiamo intervistato ieri, appena arrivato a Roma.
Presidente, ci spiega la politica del figlio unico?
«La dittatura del Partito comunista cinese ha spogliato i cittadini di tutte le libertà fondamentali. La Commissione della Pianificazione familiare ha circa 520 mila impiegati a tempo pieno e altre decine di migliaia di dipendenti esterni part time. Questa mega-commissione ha il potere di vita e di morte: decide quanti bambini possono nascere ogni anno in ciascuna provincia e lo comunica alle sezioni locali. I funzionari del posto selezionano le famiglie alle quali concedere nell’anno i permessi di nascita. Le donne che rimangono incinte senza permesso sono forzate ad abortire. Vengono arrestati i loro parenti, confiscate o distrutte le loro case e i loro averi per convincerle. Le sanzioni pecuniarie ammontano fino a cinque volte il reddito delle famiglie stesse».
Cosa intende per “aborto forzato”?
«Significa che le donne sono trascinate fuori dalle loro case, in mezzo alla strada. Segregate nelle prigioni e poi forzate ad abortire bambini desiderati, fino anche al nono mese di gravidanza. Cito un caso. Una giovane incinta al settimo mese senza permesso, e perciò illegalmente, camminava per la strada: è stata presa e trascinata via, legata a un tavolo, forzata ad abortire. Alla fine uno dei funzionari le ha presentato il corpo del bimbo e le ha chiesto di pagare per disfarsene. Lei non aveva soldi e così glielo ha lasciato sul letto».
Altri casi?
«Nel 2009 Liu Dan, 21 anni, era al nono mese di gravidanza. Ufficiali della polizia l’hanno costretta con la forza ad andare al locale ufficio della pianificazione familiare. Lei gridava e piangeva, ma i poliziotti e i medici l’hanno costretta ad abortire contro la sua volontà, nonostante l’operazione sarebbe stata molto pericolosa per la sua salute. Dopo l’aborto forzato la donna è stata abbandonata in un letto, sola. Il fidanzato, entrato nella camera alle 3 del mattino, l’ha trovata sanguinare dagli occhi, dalla bocca e dal naso. Malgrado ciò, la polizia si è rifiutata di farla soccorrere. Quando finalmente hanno fatto arrivare i medici, Liu Dan era già morta, vicino al suo bambino».
Orrenda anche la storia della giovane Li Juan, di 23 anni…
«Sì. Gli operatori sanitari l’hanno legata a un letto per infilarle un grosso ago nell’addome fino a raggiungere il feto di nove mesi. Questo si è dapprima ribellato, scalciando, poi ha smesso di muoversi. Dieci ore dopo la madre ha partorito una bimba morta, che si sarebbe dovuta chiamare Shuang “Piena di luce”. Subito dopo il corpicino è stato immerso in un secchio d’acqua per accertarne il decesso».
È vero che il partito controlla i tribunali, nomina i giudici e detta i verdetti?
«Certamente. L’uso del concetto di “legge” come strumento di governo autoritario fu riconosciuto alla dinastia Qin, 2000 anni fa. In Cina non esiste l’indipendenza della magistratura e a capo del suo sistema giuridico c’è un ingegnere che si chiama Luo Gan, non è né giudice né avvocato. Sta lì per assicurare che il sistema serva al partito. Come ha tranquillamente dichiarato lui stesso, il suo ruolo è quello di guardia contro i “negativi concetti giuridici occidentali”».
Citiamo solo uno degli ultimi casi: Ai Wei Wei, noto oppositore del partito comunista, arrestato dalla polizia il 3 aprile scorso e imprigionato in un luogo sconosciuto, con l’accusa di “crimini economici”.
«Ai Wei Wei è accusato di presunti reati economici. La sua “colpa” è di aver raccolto i nomi dei bambini che morirono nel crollo delle scuole mal costruite, nel terre moto dello Sichuan del 2008. È stato pestato e chissà quante altre torture sta patendo. E nessun burocrate mai è stato perseguito per corruzione per la costruzione di scuole che si sono letteralmente polverizzate seppellendo i bambini».

Luana Sperelli