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 2011  maggio 07 Sabato calendario

Miriam Heyman aveva 32 anni. Quella mattina di luglio, in una Londra baciata dal sole, doveva recarsi a un appuntamento a Canary Wharf, zona di banche e grandi giornali

Miriam Heyman aveva 32 anni. Quella mattina di luglio, in una Londra baciata dal sole, doveva recarsi a un appuntamento a Canary Wharf, zona di banche e grandi giornali. Ma di colpo la metropolitana smise di funzionare. Capita. Doveva però trattarsi di un guasto serio, visto che Miriam, insieme a molte altre persone, fu costretta ad abbandonare la stazione di King’s Cross, vero e proprio snodo del sistema dei trasporti pubblici londinesi. Lei non poteva saperlo, ma il convoglio che aveva appena visto partire era saltato per aria a metà del suo viaggio, nel mezzo di un budello scuro a 30 metri dalla superficie. Chiamò a casa: «Ci sono problemi alla metropolitana, va tutto bene, non preoccupatevi». Ma i genitori, chissà come fanno, per queste cose hanno il radar. «Buttati in un bar e aspetta un pochino», le consigliò papà John. Invece Miriam zompò sul primo bus che le capitò a tiro, il numero 30. E si vede che la vecchia signora nerovestita se l’era proprio segnata, questa Miriam. Tanto che l’ha fatta sedere, per essere sicuri, sul sedile davanti al 18enne Hasib Hussain stretto nella sua cintura di morte. Quattro minuti dopo non c’era più. Esther parla seduta nel giardino della villetta dei genitori. Ci sono voluti quasi sei anni e un’inchiesta lunga oltre cinque mesi per riuscire a trovare le parole e raccontare, senza crollare, la storia di sua sorella. La polizia ci ha messo quattro giorni prima di trovare la porta degli Heyman. «È stato il momento peggiore, non sapere nulla». Esther si è lanciata nella via crucis degli ospedali di Londra, appendendo manifesti, lasciando biglietti alle infermiere, lanciando appelli ai media. Intorno a lei, un Paese sotto shock. La Gran Bretagna aveva infine avuto il suo 11 settembre, quel 7 luglio passato nel gergo comune come 7/7, seven-seven. Un nome orecchiabile, perfetto per i TG. Chissà se i terroristi ci pensano a questi dettagli. «Ci siamo appesi a quella telefonata, ci siamo ripetuti mille volte che era arrivata dopo lo scoppio della bomba sul bus 30 a Tavistock Square», ricorda Esther. Ma no, il radar non funziona con la testa, sta più giù, tra il cuore e lo stomaco. La polizia ci ha messo quattro giorni ma alla fine è arrivata: Miriam è stata riconosciuta grazie al calco dentale. Morta quasi sul colpo. «Ci hanno detto che non ha sofferto - ci tiene a precisare la sorella -. Altre famiglie non sono state così fortunate». Adesso che l’inchiesta ordinata dal governo per capire che cosa accadde in quelle terribili ore si è finalmente conclusa, a restare indelebili sono le storie personali delle 52 vittime - svelate per la prima volta, nella gran parte dei casi, solo oggi. E sono il ritratto perfetto della Londra cosmopolita, pezzettino di mondo centrifugato in una città sola, che abbiamo imparato a conoscere e ad ammirare. Come Christian Small, 28 anni, nato e cresciuto in Inghilterra ma originario dell’Africa Occidentale: cedet- L’ inchiesta sui 52 morti degli attentati di zioni o individui abbia causato o contribuito alla Londra del 7 luglio 2005 si è chiusa ieri loro morte». Gli esami medici e scientifici dimocon una sostanziale «assoluzione» delle strano che nessuno sarebbe sopravvissuto anforze di sicurezza e dei servizi d’emergenza bri- che se i soccorsi fossero arrivati prima. E i servitannici, messi sotto accusa dai familiari delle vit- zi segreti dell’MI5 hanno dato spiegazioni sodditime. Il magistrato Heather Hallett ha spiegato sfacenti sul perché non fossero state mostrate a che le prove raccolte «non consentono di conclu- un informatore le foto di due attentatori di cui dere che l’eventuale inadempienza di organizza- erano venuti in possesso prima della strage. te il suo posto sull’affollatissima Pic- comodarsi sul tetto. Se ne andò men- David Gardner, uno dei sopravvissucadilly Line diretta a Russell Square tre uno dei passeggeri che aveva ri- ti all’attentato alla Circle Line alla a una signora e aspettò un altro con- so alla sua battuta cercava dispera- fermata di Edgware Road - ma non voglio. Salendo scherzò sul fatto che tamente di salvargli la vita. quel giorno. Le persone, nella diffil’unico modo per far entrare ancora «I londinesi saranno anche fred- coltà, si trasformano. Tutti cercavapiù gente sarebbe stato quello di ac- di e indifferenti, di norma - racconta no di aiutare tutti. I soccorsi, ora è stato appurato, sono arrivati solo dopo circa un’ora dallo scoppio: un lasso di tempo in cui molte camicie sono state strappate e usate come bende. La reazione della gente è stata semplicemente straordinaria». Questa è esattamente la valutazione raggiunta dal Coroner. «Nel corso di questa inchiesta - ha detto Lady Hallett - ho esaurito i superlativi nel descrivere il coraggio e l’eroismo di molti di sopravvissuti. È ora che si imparino le lezioni che ci sono da imparare e si faccia in modo che una tragedia del genere non capiti mai più». Anche nel caso di David, ad ogni modo, la differenza fra la vita e la morte - in quella girandola assurda di coincidenze e particolari che trasforma l’esistenza in una continua replica di «Sliding Doors» - l’ha fatta il caso. Gardner aveva infatti l’abitudine di stare in piedi nel breve tragitto che lo separava tra la stazione di Baker Street e quella di High Street Kensington, dove aveva l’ufficio. Quel giorno, però, decise di sedersi: aveva con sé il copione di una produzione amatoriale del «Giulio Cesare» di Shakespeare che avrebbe dovuto dirigere. il piccolo divisorio che separa i sedili dalle porte d’ingresso è con ogni probabilità la ragione per cui oggi è vivo.