Luigi Spinola, Il Riformista 4/5/2011, 4 maggio 2011
Quando Londra cercava la verità sulla morte (occultata) di Hitler - Non ci si libera facilmente del nemico
Quando Londra cercava la verità sulla morte (occultata) di Hitler - Non ci si libera facilmente del nemico. La sua morte è sempre e solo presunta. Sepolto nel mare o bruciato in un rogo nibelungico, il suo corpo è destinato a riapparire. Fu così anche per Adolf Hitler. La morte del Führer viene annunciata il primo maggio del 1945, lo stesso giorno in cui Obama - sessantasei anni dopo - annuncia agli americani l’uccisione di Osama bin Laden. Ma è una notizia luttuosa che anticipa la resa, non un proclama vittorioso. L’Ammiraglio Dönitz via radio al popolo tedesco testimonia il martirio del loro capo ucciso, assicura, «combattendo a Berlino alla testa delle sue truppe». La notizia è falsa e il successore di Hitler lo sa, perché la sua unica fonte è un telegramma ricevuto quel giorno dal bunker della Cancelleria - firmato da Goebbels - che lo informa solo della morte di Adolf Hitler «ieri - ovvero il 30 aprile ndr - alle 15.30». Quell’annuncio è buono per le prime pagine e viene poi confermato da un dottore di Stoccarda, Karl Heinz Spaeth, che giura di aver assistito Hitler, mortalmente ferito al petto da una granata russa, in un rifugio presso lo zoo di Berlino. Durante la prima estare del dopoguerra però proliferano altri miti e mitomani. Hitler scappato in Danimarca con l’aereo o in un isola baltica col sottomarino; nascosto in una fattoria bavarese, in un convento spagnolo, perfino tra i briganti sulle montagne d’Albania. Vivo, ovunque si trovi. Mosca accusa: lo proteggono i britannici. L’intelligence di sua Maestà incarica allora un giovane agente-ricercatore di certificare la morte di Adolf Hitler. Hugh Trevor-Roper arriva a Berlino a settembre del 1945 con il nome in codice di Maggiore Oughton. E il primo novembre del 1945 consegna i risultati della sua inchiesta, che conferma il decesso di Adolf Hitler. L’esile rapporto diventerà l’estate successiva lo straordinario Gli ultimi dieci giorni di Hitler (Rizzoli), la prima opera di un grande storico, destinata a continui aggiornamenti. Trevor-Roper con puntiglio afferma che i successivi arrichimenti «non alterano le conclusioni di fondo». Ma a quel tempo il destino dei resti del Führer è ancora un mistero. E i testimoni diretti della sua fine, gli uomini che lo hanno bruciato e sepolto, sono rinchiusi nei lager sovietici. Usciranno solo dieci anni dopo. E inizieranno a parlare. I russi però hanno da subito una versione dettagliata della fine di Hitler. E una settimana dopo il loro ingresso nel bunker, il nove maggio del 1945, riesumano i corpi, anneriti ma ancora riconoscibili di Adolf Hitler, Joseph e Magda Goebbels. E per cancellare ogni dubbio rintracciano la segretaria del dentista di Hitler e il suo odontotecnico che riconoscono la protesi dentaria del Führer, conservata in una scatola portasigari. Svaniscono anche loro per un decennio in una prigione sovietica. Quando escono sono chiamati a deporre davanti a una corte di Berchtesgaden, che nel 1954 deve ancora decidere riguardo alla dichiarazione di morte presunta di Adolf Hitler. I sovietici si sono tenuti per loro verità e resti mortuari, più volte sepolti e riesumati, prima di venir inceneriti e dispersi nel 1970. I motivi della reticenza di Mosca non sono ancora chiari. Ma il deliberato “negazionismo” diventa la tesi ufficiale nell’arco di una settimana a inizio del giugno 45. Il cinque incontrando gli alleati, alti ufficiali sovietici riferiscono con «sufficiente certezza» sulla morte di Hitler. Quattro giorni dopo il Maresciallo Zukov dice di non saperne nulla. Da Mosca, però, Stalin si dichiara di essere personalmente sicuro che Hitler sia vivo, «rifugiato probabilmente in Spagna presso il Generale Franco». La sua convinzione diventa dogma. Forse perché il Vozhd - a differenza dei britannici - temeva il Führer più da martire che da fuggiasco. E anche quando ne accettarono la morte, i sovietici sostituirono nella loro versione il suicidio con la rivoltella - una morte da soldato - con il poco marziale avvelenamento. E gli negarono così la Heldentod, una morte da eroe. «Sia noi che i russi ci siamo prefissi lo stesso scopo (...) evitare la rinascita del mito di Hitler» - conclude Hugh Trevor-Roper, il cui libro fu vietato oltre la Cortina di Ferro - ma con metodi diametralmente opposti, essi eliminando le prove, noi rendendole pubbliche». Neanche questo basta per la verità. Lo stesso Trevor-Roper incappò quasi quarant’anni dopo nella bufala dei “Diari di Hitler”. L’ormai celebrato storico si rovina la reputazione riconoscendo come autentica una rozza patacca prodotta da un paio di falsari tedeschi, acclamata come scoperta del secolo e venduta a peso d’oro a Stern e Times. Altra materia da romanzo (Robert Harris, I diari di Hitler, Mondadori 2002). E promemoria utile per chi si accinge a maneggiare carteggi, memorie, o altre verità binladiane.